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mercoledì 31 luglio 2013

Sant'Ignazio in tutto il suo splendore

L'ultimo giorno di luglio torna a trovarci annualmente la festa di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Il suo corpo riposa in una delle più belle chiese di Roma (e del mondo intero, almeno per me): la Chiesa del Gesù all'Argentina. Il trionfo del Barocco romano, il tripudio del cielo che si manifesta sulla terra nell'arte, nella decorazione, nella ricchezza degli ornati che devono far trasparire un lembo di Paradiso qui tra noi mortali. Oro, lapislazzuli, marmi preziosi, argento e pietre preziose sono presenti a profusione all'altare che contiene la tomba del Santo: non per lui - sia chiaro - ma tutto "ad maiorem Dei Gloriam"!
La pala dell'altare raffigura Cristo condottiero che consegna a Ignazio il vessillo per condurre nella battaglia spirituale le schiere che lo assumono come generale. La spiritualità della Compagnia è la lotta spirituale degli Esercizi, non dimentichiamolo. Ma questa tela nasconde - non tutti lo sanno - un meccanismo che la fa abbassare (prodigi del teatro liturgico del XVII sec. del Gesuita Andrea Pozzo). Nella nicchia che si rivela appare allora in tutta la sua magnificenza sacerdotale la statua in argento del padre Ignazio, rivestito dei sacri paramenti:


E' qui, presso la Chiesa-madre della Compagnia di Gesù che Papa Francesco celebra oggi la sua messa stazionale, come i Papi di un tempo, che correvano con devozione da una chiesa all'altra della loro Roma per celebrare le feste dei santi (e di questa tradizione c'è ancora il segno nel messale romano fino al 1962, che riporta le stationes...).
Nessun religioso può resistere al richiamo del Santo Fondatore, figuriamoci quando il fondatore è del calibro del Padre Ignazio, uno dei santi più affascinanti e innovatori, dopo san Francesco, naturalmente!
La Chiesa del Gesù, per molti di noi ex alunni della Gregoriana (sita a pochi passi) rimane tanto cara. Non solo per la presenza di Ignazio e delle reliquie di Francesco Saverio, ma soprattutto per la costante presenza degli anziani gesuiti nei confessionali, assidui al ministero della riconciliazione e della guida delle anime, soprattutto di altri religiosi e preti. Anche papa Francesco, lo ha detto più volte, ha sentito la sua chiamata durante una confessione. "Sacramento pericoloso" per i giovani!!

martedì 30 luglio 2013

Papa, voglio diventare prete!

LO SLANCIO VOCAZIONALE CHE HA COMMOSSO IL PAPA IL 26 LUGLIO:


Chi è riuscito a commuovere Papa Francesco a Rio è stato soprattutto questo bambino. Il suo nome è Nathan de Brito che venerdì scorso, durante uno dei giri della Papamobile per le vie di Rio, è riuscito a saltare le barriere e arrampicarsi fino tra le braccia del Pontefice per dargli un importante annuncio:

"Santità, io voglio diventare prete di Cristo, un rappresentante di Cristo" ha sussurrato de Brito all'orecchio del Papa, abbracciandolo nella sua tenuta della nazionale di calcio brasiliana

Il Papa ha risposto: "Io pregherò per te, ma chiedo a te di pregare per me", commosso fino alle lacrime ricambiando l'abbraccio.

"A partire da oggi la tua vocazione è decisa"

I presenti hanno notato che il ragazzino non voleva lasciare il Santo Padre. Solo dopo vari tentativi degli agenti di sicurezza si è riusciti ad allontanarlo dalla Papamobile.

Una volta sulla strada, Nathan ha continuato a camminare fiancheggiando l'auto del Papa e salutandolo mandandogli baci. Una delle guardie si è fermato a consolare il piccolo prima di riportarlo indietro alla sua famiglia in attesa.

lunedì 29 luglio 2013

L'intervista del Papa: in video da RomeReports

Ascoltiamo le parole del Papa in video e audio: domani tutti i giornali avranno titoli scoppiettanti. Perciò meglio prepararsi di persona con una propria opinione su ciò che il Papa dice:

venerdì 26 luglio 2013

L'Economist afferma: le quotazioni del latino sono in rialzo

Ci voleva l'autorevole settimanale economico per dircelo: il latino non è morto, gode anzi buona salute e di una notevole ripresa. The Economist esce con un articolo che trovate qui in inglese e qui sotto in traduzione italiana. Proviene dall'edizione internazionale a stampa (in edicola da domani e in anteprima sul sito). Ho fornito il testo degli opportuni link per verificare online i riferimenti offerti dall'articolo. Tutti interessanti e seri.
Eppure - per parafrasare la metafora pasquale usata dall'autore - c'è ancora chi dubita della risurrezione della lingua di Roma.

Il revival del Latino
Resurrexit vere
Una lingua morta che è viva e vegeta online e sulle onde radio
27 luglio 2013
Quando Papa Benedetto XVI ha dato le dimissioni in Febbraio, ha usato il Latino, offrendo uno scoop a Giovanna Chirri, l’unica giornalista presente che capiva quel che stava dicendo. E’ stato un opportuno richiamo di un improbabile sopravvivenza – e reviviscenza – del latino come linguaggio vivo. Radio Bremen, una stazione tedesca, trasmette un programma settimanale di notizie dal titolo Nuntii Latini Septimanales fin dal 2001. La finlandese YLE Radio 1 ha  condotto un programma simile dal 1989, con ascoltatori in oltre 80 nazioni.
Gli epigrammi e aforismi in 140 caratteri di Twitter sono ideali per il latino: con cinque parole spesso si può dire più che con dieci in inglese, sottolinea David Butterfield, un latinista dell’università di Cambridge.
I tweet non lasciano spazio a problematiche e lunghe frasi subordinate. L’account in latino di Pontifex ha guadagnato 132.000 followers da quando Benedetto XVI l’ha aperto in Gennaio. E’ gestito dall’Ufficio Vaticano per le lettere latine - probabilmente l’unico luogo di lavoro contemporaneo in cui la lingua di Virgilio è tuttora lingua franca.
Monsignor Daniel Gallagher, uno dei sette segretari, parla del “divertimento” di scrivere tweet del tipo: “Plures hodie comparent rerum species falsae. Verum fideles si videri ipsi cupiunt christiani, dubitare haud debent contra aquam remigare.” (Molti falsi idoli emergono oggi. Se i cristiani vogliono essere fedeli, non devono avere timore di andare controcorrente). La versione in inglese, dice Gallagher, perde la chiara allusione ad una delle lettere di Seneca (NdT: sarebbe l’epistula CXXII, dove si trova l’espressione – peraltro comune in italiano - remigare contra aquam). 
Ma allargare un vocabolario antico per descrivere fenomeni moderni richiede una certa genialità (vedi la tabella).
Tra le parole coniate da Radio Bremen c’è autocinetum electricum (l’automobile elettrica). Wikipedia in versione latina ha una stretta politica di “Noli fingere”, contraria alle invenzioni di neologismi per i suoi 94mila articoli, che spaziano dagli iPod alla pallavolo; si basa, come fonte, sul dizionario Vaticano. Il traduttore di Google offre un aiuto piuttosto limitato. Lanciato nel 2010 con un post sul blog (in latino), il software sfrutta le traduzioni dei testi classici: buono per tradurre le storie delle guerre galliche, meno utile per i notiziari. Google afferma comunque che il traffico per le traduzioni del latino è più alto che per quelle dell’Esperanto.
Come Google, anche Facebook fornisce ai suoi utenti un settaggio in lingua latina, completo di “Mihi placet” per “mi piace” e “Quid in animo tuo est?” per “A cosa stai pensando?”. Ancor più su lungo le pendici del Parnaso si trova Schola, a sito di social network solo in latino creato nel 2008; e poi Ephemeris un quotidiano online in latino iniziato da un giornalista polacco nel 2004, ha corrispondenti in Colombia, Germania, Cile e Stati Uniti. Floreat!

L'inagibilità del "Campus Fidei" e il palco galattico abbandonato

Le piogge torrenziali dell'inverno brasiliano hanno reso assolutamente impraticabile il Campo della Fede, l'enorme spazio che avrebbe dovuto contenere i due milioni di giovani per la conclusione della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio. Guardate questo video, girato da una TV olandese, che mostra le condizioni disperate del luogo. Si naviga letteralmente nel fango:

Il palco tanto discusso (e da alcuni vituperato), costoso e sfarzoso, alla fine non verrà nemmeno utilizzato. Costruito e abbandonato. Certo è un dispiacere, perché riconvertire la logistica in un paio di giorni è davvero un compito immane, ma non c'è dubbio che la location di Copacabana si sia rivelata davvero eccezionale (ieri sera l'abbiamo visto!), tra il mare e la città, con un palco semplicissimo dipinto con luci e immagini proiettate. Bastano i giovani e il Papa per fare la festa.

Qualche polemica sui giornali brasiliani: vedi qui

giovedì 25 luglio 2013

Santiago in diretta: una preghiera davanti alla Cattedrale

In questo giorno di festa di San Giacomo, funestato dal terribile incidente ferroviario di ieri, mentre preghiamo per le vittime, facciamo una "visita virtuale" al Santuario Iacobeo di Compostela. In questo post c'è una web-cam in diretta dalla Piazza do Obradoiro, davanti alla Cattedrale meta di tanti pellegrinaggi:


A questo collegamento potete vedere anche altre webcam della città di Santiago e dei dintorni.

Il vescovo e i debiti per i poveri

Oggi, 25 luglio, il calendario della Chiesa ci fa commemorare, insieme al grande Apostolo San Giacomo, anche il vescovo francescano beato Antonio Lucci, un vescovo indebitato fino al collo per fare la carità ai poveri. Infatti tanto divenne povero lui stesso e allo stesso tempo fiducioso nella Provvidenza, che lasciò in eredità... solo debiti! Di lui così scrive succintamente il Martirologio:
A Bovino in Puglia, beato Antonio Lucci, vescovo, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che rifulse per la sua straordinaria dottrina e fu tanto generoso nell’assistere i poveri, da non badare neppure alle proprie necessità.
Angelo Lucci nacque il 2 agosto 1682 ad Agnone. Appema quindicenne entrò  nell'Ordine dei Frati Minori Conventuali di S. Francesco e nel 1698 professò voti assumendo il nome di Antonio, in onore del Taumaturgo Padovano. Nel 1705 assieme all’amico S. Francesco Antonio Fasani ricevette l'ordinazione sacerdotale e nel 1709 si addottorò in teologia conseguendo il titolo di “padre maestro”. Iniziò così a dedicarsi all’insegnamento nei ginnasi e nei collegi dell’Ordine. Nel 1718 fu eletto ministro provinciale nella provincia di pugliese dell'Ordine francescano, mantenendo l’incarico per appena un anno. Nel 1719 infatti diveniva reggente del Collegio di S. Bonaventura presso la basilica dei SS. XII Apostoli in Roma. Durante i dieci anni di reggenza produsse trattati teologici, filosofici e storici per i suoi alunni. Papa Benedetto XIII lo chiamò tra i teologi del Sinodo Romano del 1725, gli fece tenere la prolusione ufficiale nel Sinodo Provinciale di Benevento e gli commissionò un’opera contro il giansenismo. Benedetto XIV più tardi richiese al Lucci, ormai vescovo di Bovino, un trattato di teologia morale che tuttavia il Beato non portò a termine per paura: infatti correva voce che, conclusa l'opera, il Papa lo avrebbe creato cardinale.
Alla profonda dottrina del teologo e dell’insegnante Antonio Lucci unì l’amore per i sacramenti, per la preghiera ma soprattutto per i poveri, sua vera e propria costosissima passione! Il suo alunno Ludovico Maria Sileo depose:
"Più volte arrivò a spogliarsi degli abiti interiori per darli a' poveri in tempo d' inverno, tremando egli di freddo: ed in Roma dava ai poveri (credo colle dovute licenze) quanto si buscava colle sue letterarie fatiche" (Positio, pag. 166).
E proprio a questa unione strettissima fra dottrina della fede e pratica della carità pensava Benedetto XIII quando nel 1728 rassicurò don Inigo Guevara duca di Bovino: "vi manderò un vescovo santo e dotto" (ibidem, pag. 22). Fu così che il 7 febbraio 1729 Antonio Lucci divenne vescovo di Bovino in Puglia. Nel suo governo pastorale ebbe a cuore soprattutto la riorganizzazione religiosa, culturale e sociale della diocesi: durante gli oltre vent'anni di episcopato si preoccupò di istituire la scuola elementare e, non essendo riuscito a fondare il seminario, di istruire egli stesso il clero con l'aiuto di sacerdoti diocesani o provenienti da fuori; organizzò corsi di catechesi per i fanciulli e si occupò di riformare la condotta del clero e del popolo.
Un altro tema ricorrente dell’episcopato del Beato Antonio Lucci fu la lotta contro le pesanti ingerenze e usurpazioni dell’aristocrazia locale a danno della Chiesa e dei poveri. In particolare per quanto riguardava le esenzioni dal fisco, il vescovo si impegnò nel contrastare il disegno nobiliare di esimere dalle imposizioni fiscali le rendite feudali a scapito dei poveri e della Chiesa.
L’elemento più caratteristico della santità di Antonio Lucci rimase sempre l’amore per il Vangelo e la sua attuazione tramite l’insegnamento francescano. Il cappuccino Gennaro da Crispano racconta:
"Vestiva i nudi, e dalla mattina fino alla sera continuamente dispensava limosine alli poveri, dandoli grano, danari, letti, biancarie fino a spogliarsi delle proprie vesti, ed anche della camicia, dandole con tutta prontezza a suoi poveri. E su tal particolare mi ricordo, che una volta diede ad un povero della città di Troja li propri suoi calzoni, che s'aveva levato da dosso […] ed era tanta questa sua carità, che siccome quando aveva danari per darli a poveri stava tutto allegro, e brillante; così al contrario era tutto afflitto e mesto quando non ne aveva, e la sua mestizia chiaramente si leggeva nel suo volto, e perciò in questo caso non potendo frenare l'ardente voglia, che avea, non incontrava difficoltà di mandarli a cercare ad impronto or'ad uno, or dall'altro cittadino ..." (ibidem, pag. 109).
La mattina del 25 luglio 1752, dopo circa due settimane di malattia, Antonio Lucci moriva serenamente in odore di santità lasciando al Capitolo della Cattedrale 1900 ducati di debiti contratti per fare elemosine ai poveri che avrebbe saldato dopo la stagione dei raccolti. A chi lo rimproverava perché faceva troppi debiti era solito rispondere: "Avete mai veduto un vescovo carcerato per debiti?" (ibidem, pag. 169).

fonte: santiebeati.it

mercoledì 24 luglio 2013

L'altare di Copacabana VS l'astronave di Guaratiba

Tanto semplice, lineare e bello nella sua sobrietà colorata di luci il palco per l'altare costruito a Copacabana per la prima santa Messa della GMG di Rio, quanto fantascientifico e psichedelico il palco trionfale per la veglia e la Messa finale nel "campo della fede" a Guaratiba. Il contrasto è forte: la semplicità batte l'ostentazione. Tanta è stata l'attenzione profusa nell'estetica del palco per il gran finale ma, pare, molto poca l'attenzione data al terreno dove i milioni di giovani dovranno accamparsi per poi seguire le celebrazioni. Il fango, infatti, si è impadronito della zona, complici le piogge invernali di questo periodo nell'emisfero Sud del mondo.
Alcune foto di ieri da Rio de Janeiro, con il palco sulla spiaggia:



L'astronave di Guaratiba (qui una descrizione):

E il fango che adesso la circonda (qui la notizia):





venerdì 19 luglio 2013

Pio XII, un pastore con l'odore delle pecore: lo dice Papa Francesco

La celebre immagine di Pio XII accorso tra la gente bombardata di san Lorenzo
Papa Francesco ha mandato una lettera al Cardinal Vicario di Roma per ricordare il tragico evento che avvenne, come oggi, 70 anni fa: il devastante bombardamento di Roma, nella zona di San Lorenzo. Ecco il testo:

Al Signor Cardinale Agostino Vallini, Vicario Generale per la Diocesi di Roma.

Sono spiritualmente unito a Lei, alla comunità dei Frati Cappuccini e a quanti sono raccolti nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura per fare memoria del violento bombardamento del 19 luglio 1943, che inflisse danni gravissimi all’edificio sacro e a tutto il Quartiere, come pure ad altre aree della Città, seminando morte e distruzione. A settant’anni di distanza, la commemorazione di quell’evento particolarmente drammatico vuole essere occasione di preghiera per quanti sono scomparsi e di rinnovata meditazione intorno al tremendo flagello della guerra, come pure espressione di gratitudine verso colui che fu padre sollecito e provvido.

Mi riferisco al Venerabile Pio XII, il quale, in quelle ore terribili, si fece vicino ai suoi concittadini così duramente colpiti. Papa Pacelli non esitò a correre, immediatamente e senza scorta, tra le macerie ancora fumanti del Quartiere di San Lorenzo, per soccorrere e consolare la popolazione sgomenta. Anche in quell’occasione si mostrò Pastore premuroso che sta in mezzo al proprio gregge, specialmente nell’ora della prova, pronto a condividere le sofferenze della sua gente. Con lui, vorrei ricordare tutti coloro che, in un momento così drammatico, collaborarono nell’offrire aiuto morale e materiale, nel lenire le ferite del corpo e dell’anima e nel prestare assistenza ai senza casa. Tra gli altri, desidero fare menzione di monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, allora Sostituto della Segreteria di Stato, che accompagnò Pio XII nella visita al Quartiere appena devastato dalle bombe.

Il gesto di Papa Pacelli è il segno dell’opera incessante della Santa Sede e della Chiesa nelle sue varie articolazioni, parrocchie, istituti religiosi, convitti, per dare sollievo alla popolazione. Tanti Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose a Roma e in tutta Italia furono come il Buon Samaritano della parabola evangelica, chinatosi sul fratello nel dolore, per aiutarlo e donargli consolazione e speranza. Fu quella una gara di carità che si estendeva ad ogni essere umano in pericolo e bisognoso di accoglienza e di sostegno.

La memoria del bombardamento di quella giornata drammatica faccia risuonare ancora una volta in ciascuno le parole del Papa Pio XII: «Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra». (Radiomessaggio, 24 agosto 1939). La pace è un dono di Dio, che deve trovare anche oggi cuori disponibili ad accoglierlo e ad operare per essere costruttori di riconciliazione e di pace.

Affido tutti gli abitanti del Quartiere di San Lorenzo, specialmente gli anziani, i malati, le persone sole e in difficoltà alla materna intercessione di Maria Salus Populi Romani. Lei, la Vergine della tenerezza e della consolazione, rafforzi la fede, la speranza e la carità per irradiare nel mondo l’amore e la misericordia di Dio.

Con tali sentimenti assicuro la mia preghiera e di cuore imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 19 luglio 2013.
Francesco

Antenati della GMG: le grandi adunate di cattolici non sono iniziate negli anni '80....

I Congressi Eucaristici Internazionali - che esistono da oltre 130 anni -, nel tempo del loro massimo fulgore si sono configurati come adunate oceaniche, in primo luogo intorno all'Eucaristica, ma certamente anche intorno al Papa. Le difficoltà di spostamento e di sicurezza nei viaggi, però, impedivano al Pontefice di essere presente se non attraverso la figura del "Legato a latere", un cardinale che funge da "alter ego" del Papa e lo rappresenta. Paolo VI volle tuttavia partecipare di persona al Congresso Eucaristico di Bombay nel 1964, facendolo coincidere con la sua visita in India. Si veda nella foto una delle prime immagini del Papa su una Jeep-papamobile bianca che passa tra la folla: oggi ci pare normale, a quel tempo era una "prima volta":

Nel primo video (qui sotto) troviamo qualche ripresa dell'imponente Congresso Eucaristico internazionale del 1932, tenutosi a Dublino. Folle oceaniche di cattolici radunati dall'Irlanda e varie parti del mondo, processioni immense, sante messe di dimensioni enormi, con tanto di palco (in verità piuttosto sobrio) per l'esposizione, e un altro a forma di tempio per la partecipatissima messa finale (mostrata nel secondo video).
Ovviamente i mezzi tecnici di allora per favorire una "partecipazione coinvolgente" ("attiva" lo riserviamo per altri discorsi) sono ben diversi da quelli di oggi, ma lo spirito di comunione internazionale dei cattolici penso sia lo stesso. 
Troviamo le seguenti note nella presentazione del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali:
Nei primi decenni del secolo scorso i Congressi eucaristici internazionali modificano progressivamente la loro fisionomia. Anzitutto essi prendono una dimensione risolutamente mondiale anche per distinguersi dai Congressi nazionali che si celebravano un po’ dovunque. [...]
Inoltre padre Jungmann, per aggiornare le antiche ragioni teologiche dei Congressi eucaristici e caratterizzarli come una specie di festa liturgica quasi ufficiale della Chiesa, suggerì di vedere in queste manifestazioni culminanti nella Messa celebrata dal Legato pontificio una ripresa, in chiave universale, dell’antico uso romano della “statio urbis” per cui il Papa, per esprimere l’unità della sua diocesi, celebrava di volta in volta l’Eucaristia nelle diverse chiese. I Congressi eucaristici internazionali venivano così identificati come una “statio orbis”, «una sosta di impegno e di preghiera a cui una comunità invita la Chiesa universale».
Se si confronta il 31° con il 50° Congresso internazionale, entrambi tenutisi a Dublino (1932 e 2013) si nota però un calo di presenze (circa 500 mila rispetto alle 75 mila nella messa finale) rispetto ai tempi d'oro, nonostante l'aumento di paesi di provenienza dei convenuti (120 nazioni nel 2013). Oggi altri raduni hanno preso il posto centrale che fu della "Statio Orbis", sia nell'attenzione della Chiesa che dei Media, uno di questi appuntamenti è senza dubbio la Giornata Mondiale della Gioventù.

La nostra Chiesa Cattolica rimane comunque l'unica realtà ecclesiale che organizza incontri mondiali del genere, di cui le GMG sono il più recente dei fenomeni mentre i Concili Ecumenici sono i più antichi, impegnativi e autorevoli. I cattolici sono diversi per lingua, etnia, cultura e località, ma si sentono un'unica famiglia perché unica è la professione della stessa fede, la celebrazione degli stessi sacramenti e la comunione obbediente con i pastori uniti al Pastore di Roma.
Oso dire che le GMG, nate negli anni '80, sono "tradizionali", per il fatto che rinverdiscono per i giovani la tradizionale ricerca di manifestazione umana, visibile, non solo spirituale, della totalità della Chiesa Cattolica, nella sua mistica unità "nelle e a partire dalle" innumerevoli diversità dei suoi componenti. Non si tratta di "trionfalismo", è che la famiglia è proprio numerosa!



giovedì 18 luglio 2013

Oggi sarebbe abortito e invece fu un genio e compose la "Salve Regina": storie di 1000 anni fa

Il beato Ermanno offre alla Vergine il canto da lui composto
Nasceva ad Althausen in Svevia, giusto il 18 luglio di 1000 anni fa, il monaco disabile che per il suo handicap ricevette oltre al bel nome un epiteto poco simpatico: Ermanno "lo storpio" (Hermann der Lahme).
Correva l'anno 1013 nel "cupo" medioevo e il piccolo Ermanno, nato visibilmente malato e deforme nel corpo - con tutta probabilità per paralisi cerebrale e forse spina bifida - avrebbe dovuto essere "con misericordia" soppresso; ma "purtroppo" i suoi genitori Goffredo ed Eltrude erano testardamente cristiani convinti, e così cercarono di tirarlo su con gli altri 14 fratelli e sorelle.
I genitori portano il piccolo Ermanno al monastero
Fin dall'infanzia fu dunque soprannominato ‘il Rattrappito’, tanto era storto e contratto: non poteva star ritto, tanto meno camminare; stentava perfino a star seduto nella sedia che era stata fatta appositamente per lui; le sue dita stesse erano troppo deboli e rattratte per scrivere; le labbra e il palato erano deformati al punto che le sue parole uscivano stentate e difficili ad intendersi. La famiglia era agiata, eppure proprio la nobiltà della stirpe avrebbe suggerito, nei cosiddetti "secoli bui", di nascondere un figliolo così imperfetto nel corpo. Invece a sette anni il piccolo Ermanno fu affidato ai monaci benedettini di Reichenau, prestigiosa abbazia fondata da Carlo Magno. "Qui il ragazzo che poteva a mala pena biascicare poche parole con la sua lingua inceppata, trovò, chissà in virtù di quale psicoterapia religiosa, che la sua mente si apriva", dice una biografia moderna scritta da Cyril Martindale.
Neppure per un solo istante, durante tutta la sua vita, egli potè sentirsi ‘comodo’ o, per lo meno, liberato da ogni dolore: quali sono tuttavia gli aggettivi che vediamo affollarsi intorno a lui nelle pagine degli antichi cronisti? Li traduco dalla biografia in latino: piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione di essere galantuomo con tutti. Con il risultato che tutti gli volevano bene....
Fu in seguito accettato come monaco, e rimase per sempre nell'abbazia che lo aveva accolto.
Imparò la matematica, il greco, il latino, l’arabo, l’astronomia e la musica. Scrisse un intero trattato sugli astrolabi (...) e nella prefazione scrisse: ‘Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca (...) è stato indotto dalle preghiere di molti amici (già, tutti gli volevano bene!) a scrivere questo trattato scientifico’. Aveva sempre cercato di risparmiarsi lo sforzo, con ogni sorta di pretesto, ma, in realtà, soltanto a causa della sua ‘massiccia pigrizia’; tuttavia finalmente poteva offrire, all’amico al quale il libro è dedicato, la teoria della cosa, e aggiungeva che, se l’amico l’avesse gradito, avrebbe cercato, in seguito di svilupparlo su linee pratiche e più particolareggiate. E, lo credereste, con quelle sue dita tutte rattrappite, l’indomabile giovane riuscì a fare astrolabi, e orologi e strumenti musicali. Mai vinto, mai ozioso!
Quello che doveva essere un peso diventa presto l’orgoglio del monastero e la sua fama arriva fino all’imperatore Enrico III e a papa Leone IX, che visitarono Reichenau rispettivamente nel 1048 e nel 1049.

Ma il geniale Ermanno, oltre a rivelarsi un grande scienziato e storico, si dilettò anche di musica, unendo questa passione alla sua profonda fede e devozione per la Vergine. E' praticamente certo che fu proprio lui a comporre la celeberrima preghiera mariana "Salve Regina" che ancora oggi, rivestita delle note scaturite dal genio di Ermanno, si canta in tutte le chiese. Possiamo capire meglio, conoscendo le sofferenze dell'autore, quel riferimento posto nel testo alla "valle di lacrime" in cui siano e da cui invochiamo aiuto da Maria santissima. Aveva composto uno splendido canto, ma lui non sarebbe mai riuscito a cantare.

Provato dalla vita e ammalato confiderà un giorno al suo confratello Bertoldo di essere "stanco di questa vita" e di anelare alla vita futura, quella senza fine. Bertoldo si dispera, e tocca ancora ad Ermanno consolarlo:
Amico del mio cuore, diss’egli, non piangere, non piangere per me!...E - aggiunse il morente - ricordando ogni giorno che anche tu dovrai morire, preparati con ogni energia per intraprendere lo stesso viaggio, poiché, in un giorno e in un’ora che tu noi sai, verrai con me - con me, il tuo caro, caro amico.”
Ermanno morì a 41 anni, circondato dagli amici, dopo aver ricevuto il corpo e il sangue di Cristo nella santa comunione, il 24 settembre del 1054 e seppellito ‘in mezzo a grandi lamenti’ nei suoi possedimenti di Altshausen ai quali aveva rinunciato da così lungo tempo. Venerato come beato fin dall'antichità, il suo culto fu confermato ufficialmente nel 1863 da Pio IX. Le sue numerose opere scritte sono edite anche dal Migne, nei volumi dedicati al Medioevo dopo la Patrologia Latina.

La prossima volta che ti viene un attacco di pessimismo o pensi di valere poco per i tuoi difetti, pensa a Ermanno e alla sua fede, fatica e felicità!

Riascoltiamo adesso la più famosa antifona da lui composta, sia nella versione con la melodia semplice (e tanto diffusa), sia con la melodia solenne:





Salve Regina

Salve, Regína, mater misericórdiae,
vita, dulcédo et spes nostra, salve.
Ad te, clamámus éxsules fílii Hevae.
Ad te suspirámus geméntes et flentes
in hac lacrimárum valle.
     Salve, o Regina, Madre di misericordia;
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo, noi esuli figli d'Eva;
a te sospiriamo gementi e piangenti
in questa valle di lacrime. 
Eia ergo, advocáta nostra,
illos tuos misericórdes
óculos ad nos convérte.
Et Iesum benedíctum
fructum ventris tui,
nobis post hoc exílium osténde.
O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.
     
Orsù, dunque, Avvocata nostra,
rivolgi a noi quegli occhi
tuoi misericordiosi.
E mostraci dopo questo esilio
Gesù, il frutto benedetto
del ventre tuo,
o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.


Fonti: Santiebeati; articolo su Tempi.it; articolo di Patrizia Solari

mercoledì 17 luglio 2013

Un ricordo per Vincenzo Cerami, il cesellatore di storie

Ho letto con sorpresa e tristezza poco fa che è morto oggi, a 73 anni, Vincenzo Cerami, scrittore, sceneggiatore di film capolavori come "La vita è bella", un vero artista della penna, dal romanzo al cinema al teatro. Pluripremiato e ammirato per i suoi innumerevoli lavori (chi è interessato può leggere qui una scheda esaustiva). I francescani di lui ricorderanno senz'altro il musical intitolato "Francesco", scritto per il Lyrick Theatre di Assisi e messo in scena nell'anno del Grande Giubileo (qui una clip video, qui una recensione). Ha collaborato anche con la riflessione su "arte e fede" al Cortile dei Gentili.
Io, personalmente lo ricordo però come professore, come docente. Forse pochi sanno che Vincenzo Cerami ha anche insegnato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, presso il Centro Interdisciplinare per la Comunicazione Sociale, invitato da quel grande decano che fu il gesuita p. Robert White. Nel lontano 2000 ho potuto frequentare con Cerami uno splendido corso di "scrittura creativa", dove ci insegnava i segreti della bottega del narratore di storie: con la pazienza dell'artigiano con i suoi apprendisti leggeva i nostri testi, correggendo, criticando e a volte ridendo. Non è tutto istinto o genialità, ci spiegava, anzi, c'è una buona dose di mestiere, di regole da rispettare nello scrivere storie avvincenti e interessanti, che colpiscano l'emozione del fruitore rispettando insieme la sua intelligenza. Il suo testo Consigli ad un giovane scrittore, in cui affronta in maniera multimediale l'esperienza dello scrivere e del raccontare, è ancora da consigliare a chi non lo conoscesse. Le narrazioni che appaiono più spontanee sono spesso le più preparate e cesellate, e questo vale anche per le omelie, le quali - come ogni comunicazione umana - non possono trascurare i principi che reggono e rendono efficace il comunicare, perfino la fede.

Possiamo ripetere con convinzione questo elogio che Benigni ha dedicato al Maestro Cerami: 
“Cerami mi ha insegnato che l’ispirazione la aspettano i principianti, quelli bravi si mettono al lavoro”

Stile liturgico "emancipato" o "autocentrato"? Vedete un po' voi

Una notizia del 16 luglio ripresa da TGCOM diceva:
A messa come a Sanremo: parroco chiude il matrimonio cantando e ballando sull'altare
Colpo di scena in una parrocchia della Brianza, dove risuonano le note dei Ricchi e Poveri
19:20 - Le suore di Sister Act oramai sono storia passata. Perché alla ribalta, ora, c'è don Bruno, l'originale parroco che non ha esitato a infrangere i rigidi schemi della Chiesa, chiudendo un matrimonio in Brianza sulle note di "Mamma Maria", storico successo dei Ricchi e Poveri. Stereo alla mano, il prete ha trasformato l'altare in un palco degno dell'Ariston, con tanto di coreografie ed esibizione al microfono. Il tutto sotto lo sguardo attonito dei presenti che, cellulare alla mano, hanno filmato la scena e hanno messo il video sul web.
La curiosità è tanta, e con una ricerca da un solo click ecco cosa ti trovo su YouTube (caricato il 16 maggio 2013):


Ed ecco il "replay" durante l'ultima "cerimonia":


Non so se è un matrimonio vero o se è solo una commedia, ma se sul serio quello che balla e canta è un prete e i due sono veramente venuti a sposarsi "secondo il rito di santa romana Chiesa", allora qui c'è qualcosa di profondamente storto. Una distorsione della liturgia talmente radicata che non è più nemmeno percepita da chi la mette in atto, da chi la filma e da chi la vive. Tutto ruota attorno ad attori in cima al palcoscenico, per intrattenere, "religiosamente" quanto si vuole, ma pur sempre intrattenere il pubblico in "sala". 
Rileggiamo le parole ponderate di Benedetto XVI, e comprendiamo il grido di sofferenza e d'allarme, a volte sottovalutato, con cui il Pontefice giustificava il ritorno di molti alla Forma straordinaria, come "rifugio" contro gli abusi e la spettacolarizzazione della liturgia. Il Papa parlava al passato, ma pare che nulla sia cambiato:
Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.                              (lettera ai vescovi in occasione del MP Summorum Pontificum)
La liturgia e la fede sono l'una l'espressione visibile dell'altra. Se tu credi in te stesso o se credi nel Dio di Gesù Cristo il risultato "rituale" non sarà lo stesso, come sarà diverso anche il risultato "vitale" (la vita cristiana è anch'essa liturgia, opera di Dio e per Dio, con rubriche molto antiche che si chiamano comandamenti, affidate a coloro che hanno ricevuto il sacerdozio battesimale per offrire il sacrificio della propria esistenza con Cristo al Padre). E non importa quello che affermi di credere, la comunicazione non-verbale, i gesti, i segni, la musica, diranno molto di più di quanto immagini (come i tuoi comportamenti e la sincerità nella vita morale rivelano se davvero credi al Signore e ami il tuo prossimo o fai riferimento solo a te stesso).

martedì 16 luglio 2013

785 anni fa cominciava, il 17 luglio, la costruzione della Basilica di san Francesco in Assisi


Il 17 luglio 1228 Papa Gregorio IX diede personalmente la benedizione alla prima pietra della Basilica di S. Francesco in Assisi. Nel maggio 1230, dopo quattro anni di sepoltura provvisoria nella chiesetta di San Giorgio, le reliquie corporali del Poverello trovarono definitiva dimora al centro della crociera della cripta nella nuova chiesa sepolcrale.
Alla solenne traslazione del corpo del Santo fondatore - a cui partecipò anche il nostro glorioso sant'Antonio di Padova - sono legati anche i primi doni prestigiosi da parte dei Pontefici, che segnano l'inizio di quello che sarà il cosiddetto "Tesoro" della Basilica. Riferisce la "Leggenda dei tre compagni" (n. 72):
Gregorio IX, che aveva sommamente amato Francesco mentre ancora viveva, non soltanto l'onorò mirabilmente iscrivendolo nel coro dei Santi, ma fece anche erigere a gloria di lui una chiesa, ponendone in persona la prima pietra, e poi arricchendola con sacri donativi e ornati preziosissimi....
Ad essa il pontefice inviò in dono una croce d'oro, scintillante di pietre preziose, con incastonata una reliquia del legno della croce di Cristo. Oltre a ciò, oggetti di decorazione, suppellettile liturgica e altri oggetti utili al servizio dell'altare, molti preziosi e splendidi parati sacri.
La basilica fu esentata da ogni giurisdizione inferiore a quella pontificia e, per autorità apostolica, fu da lui proclamata “ capo e madre ” di tutto l'Ordine dei frati minori.
Con la bolla "Dignum Existimamus" del 16 luglio 1253 Innocenzo IV proibirà poi ai frati del tempo e a quelli futuri, con estrema minuzia, di alienare, dilapidare o disperdere: "libri, calici, turiboli, croci, bacili sia d'oro che d'argento, tunicelle, dalmatiche, pianete, e cappe o piviali, e qualunque indumento e paramento sia di seta che di altro genere, sia per gli altari o alle persone, o che sia destinato a decorare in altro modo la stessa Chiesa, e pure le campane, grandi e piccole, e altri ornamenti e vasi", appartenenti agli arredi sacri e preziosi della Basilica (si legga qui la Bolla, a pag. 666 del II vol del Bullarium Franciscanum). Questo ci fa capire come fosse già ben dotata, fin dagli inizi, la basilica che fu sempre tanto cara ai romani pontefici.
C'è da rilevare che il Papa fa accettare ai frati questi beni non perché se ne dovessero vantare o potessero vivere circondati dal lusso. Non erano per loro, ma per la liturgia e il culto divino. Bisogna sottolinearlo: lo splendore e il bello, destinati ad onorare Dio e i suoi santi, non erano sentiti come un venir meno alla povertà francescana. Anzi, dice Papa Innocenzo, gli sembra cosa buona e giusta che anche attraverso le sacre suppellettili e la decorazione sia accesa maggiormente la devozione dei fedeli per Francesco e la venerazione per questo santo luogo.
Qui un bel video con una carrellata di artistici manufatti, dal XIII sec. in avanti, ancora presenti al Sacro Convento:

Il "tesoro" era conservato per secoli in un'apposita stanza segreta nella sagrestia della chiesa inferiore, ricavato alla base del possente campanile. Numerosi inventari a cominciare dal 1338 ne documentano l’accrescimento.  Esso veniva mostrato solo a personaggi importanti. Ma alla fine del XIX sec. si trova un documento nell'archivio del Sacro Convento che attesta già il tentativo di esporre il "tesoro" al pubblico, per renderlo fruibile a tutti, e sviluppare così quello che diventerà il "Museo del Tesoro della Basilica". Lungo i secoli il patrimonio storico-artistico della Basilica di Assisi e del Sacro Convento subì varie depredazioni e dispersioni (nonostante le ingiunzioni papali...). Oggi, come mostrato nel video, vi si possono ammirare opere di oreficeria sacra come croci, calici, reliquiari, sete arabe ricamate e un grande arazzo fiammingo, messali miniati, maioliche medioevali in uso del palazzo gregoriano-sistino e nel convento, tavole istoriate dal 13° al 16° sec.

lunedì 15 luglio 2013

15 luglio: a Gerusalemme festa della Dedicazione del Santo Sepolcro

Un bellissimo video sul ricordo odierno della Dedicazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme, di cui i francescani sono Custodi per conto di tutti i cattolici sparsi nel mondo. Qui la fonte.

Prepararsi alla Messa con san Bonaventura

Il francescano san Bonaventura (+1274), Dottore Serafico, oltre alle profonde opere intellettuali di scienza teologica, scrisse anche dei trattati devozionali. Uno, in particolare, desidero oggi richiamare all'attenzione del lettore: il trattato sulla preparazione del sacerdote alla celebrazione della Santa Messa.
In esso Bonaventura esamina in cinque punti il sacerdote che si appresta a celebrare l'Eucaristia: la sua fede, la sua intenzione, le disposizioni, la carità e il fervore con cui celebra, i motivi che lo spingono a celebrare e infine dà consigli sulla preparazione immediata alla celebrazione eucaristica. Molta attenzione viene data proprio alle disposizioni del celebrante, nell'anima e nel corpo. La pulizia interiore ed esteriore (siamo nel medioevo!!) devono corrispondersi. La confessione è strettamente legata al sacrificio eucaristico e alla fruttuosa ricezione della comunione. Viene già ricordato come grave errore quello di credere che basti la celebrazione quotidiana per espiare i peccati, senza la previa confessione (errore che pare non esser passato di moda...).
Nell'ultima sezione del trattato, Bonaventura si sofferma anche sugli aspetti esteriori della celebrazione, e sulla devozione del sacerdote (al quale consiglia speciali preghiere); sulla compostezza dei gesti e sul non aggiungere o mutare arbitrariamente i testi (gli stessi abusi liturgici di oggi, eppure la Messa era in latino... come si vede non è la lingua della celebrazione a frenare i sacerdoti fantasiosi e poco attenti ai testi e ai gesti). Vi riporto alcuni brani del trattato, tanto per dare qualche cenno. Se lo si vuole leggere per esteso si veda qui

Dal TRACTATUS DE PRAEPARATIONE AD MISSAM
di San Bonaventura, vescovo e Dottore della Chiesa
CAPITOLO I
6. Ma ahimè, quanti sacerdoti oggi ci sono miseri e noncuranti della loro salvezza, che mangiano il corpo di Cristo sull’altare come fosse carne di bestie; e avvolti e contaminati in abominazioni, di cui non si può neppur parlare, non hanno ritegno a toccare e baciare con mani scellerate e labbra macchiate il Figlio di Dio e di Maria Vergine! ...Per di più, e questo è ancora peggio, certuni in questi tempi sono giunti a tanta perversità e stoltezza da credere - infelicissimi- che le loro malefatte e immondezze dei peccati, che quotidianamente rinnovano e si propongono di rinnovare, col fatto stesso che ogni giorno celebrano, siano espiati con la santa comunione, senza bisogno di penitenza né di confessione. Costoro non sono sacerdoti, ma sacrileghi; non cristiani, ma eretici. Infatti, se avessero fede retta, o temerebbero di peccare, o smetterebbero di celebrare.
CAPITOLO II
2. ...Avviandoti all’altare, rammenta Cristo che si avvia alla croce e immergi il tuo cuore in tutto ciò che avvenne nella Passione; leggi chiaramente e distintamente ciò che si deve leggere, non moltiplicando troppo le collette, né leggendo dell’altro per devozione e per proprio arbitrio, oltre quello che fu istituito dai santi Padri. 
3. Giunto al santo Canone, raccogli il tuo spirito, per evitare le distrazioni, e poni grande attenzione ai segni e agli atti, più grande ancora alle parole, massima all’intenzione; primo, perché vi si contiene un corpo cosi prezioso; secondo, perché vi si contiene un’anima così gloriosa; terzo, perché vi si contiene la Divinità infinita. – Al Memento sia dei vivi che dei morti, non esprimere la tua raccomandazione con parole o a voce, ma richiama alla mente alcune persone più intime e le altre ricordale insieme sommariamente, riferendo l’intenzione a tutte quelle per cui hai già pregato o ti sei proposto di pregare. Giunto al Qui pridie (momento della Consacrazione), dirigi la tua mente e intenzione a fare ciò che intese fare Cristo nella sua cena e ciò che intende la santa Madre Chiesa. Alla Comunione poi. fermati un po’ e di’, non con la lingua o le labbra, ma con il cuore:
PREGHIERA 
Signore mio, chi sei tu e chi sono io, perché osi introdurti nella vergognosa dimora del mio corpo e della mia anima? Perché mi hai creato, se dovevo farti questa ingiuria esecrabile? Mille anni di lacrime e di penitenza non basterebbero per ricevere degnamente solo una volta cosi nobile sacramento; tanto più ne sono indegno io, che, miserabile, pecco ogni giorno, persisto incorreggibile e vi accedo impreparato! Ma la tua misericordia è infinitamente più grande della mia miseria, cosi che confidando nella tua bontà, oso riceverti.
Due condizioni infatti si richiedono soprattutto per ricevere bene questo sacramento: una profonda umiltà nella coscienza del proprio niente e la compassione per la morte di Cristo.

San Bonaventura, cardinale umile e paziente: parola di Bergoglio

Le tre catechesi del 2010 di Papa Benedetto dedicate a San Bonaventura sono giustamente celebrate come mirabile sintesi e altissima divulgazione del pensiero e dell'opera del Santo teologo, che tanto ha influenzato il pensiero ratzingeriano (le potete rileggere qui e qui e qui, e anche rivederle nei video).

Ma anche il Cardinal Bergoglio ha registrato qualche anno fa per l'emittente cattolica Eternal World Television Network una serie di minitrasmissioni sui Dottori della Chiesa. Vi propongo oggi la riflessione che il futuro Papa tenne su san Bonaventura che oggi festeggiamo. E' descritto come il santo dell'umiltà, che egli vede in atto in Cristo e nel Padre San Francesco. Questo intelligente e già famoso seguace di san Francesco non perde l'umiltà nemmeno quando è elevato al cardinalato. Ascoltiamo nello spagnolo di Jorge Mario Bergoglio - peraltro semplicissimo da intendere - la meditazione sul Dottore Serafico oggi ricordato da calendario:

domenica 14 luglio 2013

Benedetto XVI: il "buon Samaritano" è Gesù che soccorre l'umanità

La parabola del buon Samaritano illustrata in un'icona romena
E chi è quel Samaritano se non lo stesso Salvatore?
O chi fa maggiore misericordia a noi,
quasi uccisi dalle potenze delle tenebre
con ferite, paure, desideri, furori, tristezze, frodi, piaceri?
Di queste ferite solo Gesù è medico;
egli solo sradica i vizi dalle radici
                                                                  Clemente Alessandrino, Quis dives 29

Vi cito un brano dal libro di J. Ratzinger Gesù di Nazaret, dal battesimo alla trasfigurazione, Rizzoli 2007 (ed. dig. 2011), un testo adatto a meditare la parabola di oggi, quella del "buon Samaritano" (Lc 10,25-37), non nella consueta e necessaria chiave morale, ma in chiave cristologica, secondo il "senso spirituale" tipico della teologia antica e medievale, che andava a cercare Gesù e la sua azione in ogni pagina dell'Antico e del Nuovo Testamento:
I Padri della Chiesa hanno dato alla parabola una lettura cristologica. Qualcuno potrebbe dire: questa è allegoria, quindi un'interpretazione che allontana dal testo. Ma se consideriamo che in tutte le parabole il Signore ci vuole invitare in modi sempre diversi alla fede nel regno di Dio, quel regno che è Egli stesso, allora un'interpretazione cristologica non è mai una lettura completamente sbagliata. In un certo senso corrisponde a una potenzialità intrinseca del testo e può essere un frutto che si sviluppa dal suo seme. I Padri vedono la parabola in dimensione di storia universale: l'uomo che lì giace mezzo morto e spogliato ai bordi della strada non è un'immagine di «Adamo», dell'uomo in genere, che davvero «è caduto vittima dei briganti»? Non è vero che l'uomo, questa creatura che è l'uomo, nel corso di tutta la sua storia si trova alienato, martoriato, abusato? La grande massa dell'umanità è quasi sempre vissuta nell'oppressione; e da altra angolazione: gli oppressori — sono essi forse le vere immagini dell'uomo o non sono invece essi i primi deformati, una degradazione dell'uomo? Karl Marx ha descritto in modo drastico l'«alienazione» dell'uomo; anche se non ha raggiunto la vera profondità dell'alienazione, perché ragionava solo nell'ambito materiale, ha tuttavia fornito una chiara immagine dell'uomo che è caduto vittima dei briganti.
La teologia medievale ha interpretato i due dati della parabola sullo stato dell'uomo depredato come fondamentali affermazioni antropologiche. Della vittima dell'imboscata si dice, da un lato, che fu spogliato (spoliatus); dall'altro lato, che fu percosso fin quasi alla morte (vulneratus: cfr. Lc 10,30). Gli scolastici riferirono questi due participi alla duplice dimensione dell'alienazione dell'uomo. Dicevano che è spoliatus
supernaturalibus e vulneratus in naturalibus: spogliato dello splendore della grazia soprannaturale, ricevuta in dono, e ferito nella sua natura. Ora, questa è allegoria che certamente va molto oltre il senso della parola, ma rappresenta pur sempre un tentativo di precisare il duplice carattere del ferimento che grava sull'umanità. La strada da Gerusalemme a Gerico appare quindi come l'immagine della storia universale; l'uomo mezzo morto sul suo ciglio è immagine dell'umanità. Il sacerdote e il levita passano oltre — da ciò che è proprio della storia, dalle sole sue culture e religioni, non giunge alcuna salvezza. Se la vittima dell'imboscata è per antonomasia l'immagine dell'umanità, allora il samaritano può solo essere l'immagine di Gesù Cristo. Dio stesso, che per noi è lo straniero e il lontano, si è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita. Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo. Versa olio e vino sulle nostre ferite — un gesto in cui si è vista un'immagine del dono salvifico dei sacramenti — e ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci fa curare e dona anche l'anticipo per il costo dell'assistenza.
I singoli tratti dell'allegoria, che sono diversi a seconda dei Padri, possiamo lasciarli serenamente da parte. Ma la grande visione dell'uomo che giace alienato e inerme ai bordi della strada della storia e di Dio stesso, che in Gesù Cristo è diventato il suo prossimo, la possiamo tranquillamente fissare nella memoria come una dimensione profonda della parabola che riguarda noi stessi. Il possente imperativo contenuto nella parabola non ne viene infatti indebolito, ma è anzi condotto alla sua intera grandezza. Il grande tema dell'amore, che è l'autentico punto culminante del testo, raggiunge così tutta la sua ampiezza. Ora, infatti, ci rendiamo conto che noi tutti siamo «alienati» e bisognosi di redenzione. Ora ci rendiamo conto che noi tutti abbiamo bisogno del dono dell'amore salvifico di Dio stesso, per poter diventare anche noi persone che amano. Abbiamo sempre bisogno di Dio che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi.
Le due figure, di cui abbiamo parlato, riguardano ogni singolo uomo: ogni persona è «alienata», estraniata proprio dall'amore (che è appunto l'essenza dello «splendore soprannaturale» di cui siamo stati spogliati); ogni persona deve dapprima essere guarita e munita del dono. Ma poi ogni persona deve anche diventare samaritano — seguire Cristo e diventare come Lui. Allora viviamo in modo giusto. Allora amiamo in modo giusto, se diventiamo simili a Lui, che ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,19).

giovedì 11 luglio 2013

I “padroni” del Papa ed altre rivelazioni in un articolo di Jorge Milia

Il giornalista Jorge Milia, ex alunno di Papa Bergoglio, racconta su Terre d'America punto per punto una telefonata intercorsa tra lui e il Pontefice. Una telefonata ricevuta, di cui ricorda i rilievi d'affetto e stima espressi da Francesco per "il vecchio", cioè Benedetto XVI, la sua insofferenza per i "padroni" del Papa con lunga anzianità di servizio che si annidano in Vaticano.... E altre notizie. Da leggere senz'altro.
Come si vede gli amici del Papa sono parecchio chiacchieroni.... però ci fanno sapere un sacco di cose. Resta sempre da valutare l'attendibilità del tutto, in questo e nei casi precedenti...

Tecnologia...in onore di san Benedetto per la rinascita del canto gregoriano


enedetto, padre dei monaci e patrono d'Europa, va festeggiato degnamente. Mi pare bello, in quest'occasione, preparare un post per far conoscere alcune iniziative "digitali" volte a sostenere la diffusione del canto gregoriano, patrimonio inestimabile custodito, curato e divulgato da secoli proprio dai figli di san Benedetto. La rivoluzione elettronica e l'internet hanno dato negli ultimi anni delle inedite possibilità al repertorio gregoriano, che - come tutti sanno - è ovviamente libero da ogni copyright. O meglio: possono essere soggette a copyright le pubblicazioni recenti, ma non le melodie, le quali possono invece essere liberamente trascritte e liberamente circolare.
Con questo principio in mente è stato da pochi mesi reso accessibile il "GREGOBASE", ovvero l'ambizioso progetto di mettere sul web, in molteplici formati digitali, tutti gli spartiti dei canti gregoriani conosciuti.
Avete capito bene. I libri che li contengono non vengono fotocopiati o digitalizzati, ma canto per canto viene fatta una trascrizione completa, seconda il sistema GABC, che permette poi di visualizzare gli spartiti gregoriani, modificarli, aggiungere note e traduzioni. Molto molto versatile, dunque. La filosofia Open Source, applicata alla musica e al canto della Chiesa, ha dato splendidi risultati in poco tempo, mettendo a disposizione di tutti - soprattutto dei giovani - un patrimonio immenso e antichissimo. Esso si è sempre diffuso per "trascrizione" e "copiatura", e approfitta oggi dei canali tecnologici disponibili, sempre secondo la millenaria tradizione di cui è prodotto sopraffino.
Tornando a GregoBase: vi troverete, via via, le antifone, gli inni, i canti della messa, ogni cosa catalogata e ricercabile. Con pdf, immagini degli spartiti e indicazione delle fonti da cui sono stati presi. Tutto questo aiuterà enormemente quanti vogliono preparare libretti e opuscoli, per usare anche in chiesa il canto della Chiesa!
Altre splendide iniziative per la promozione del Canto Gregoriano sono:
  • 1) Il Global Chant Database: in esso sono ricercabili i testi di tutti i canti gregoriani, in modo da vedere come e dove vengono utilizzati nella liturgia e reperire le fonti manoscritte che li riportano.
  • 2) Il Caecilia Project, strettamente congiunto al Gregobase, dove si trovano in via di completamente le trascrizioni di migliaia di canti gregoriani e altre risorse per la liturgia cantata.
  • 3) L'interfaccia web del programma Gregorio, che permette di leggere, visualizzare e modificare online spartiti in notazione quadrata scritti con il linguaggio GABC, e infine ottenere immagini o pdf dello spartito creato, con il carattere e le dimensioni delle note a piacere. Spettacolare!
  • 4) Esiste come App di Google Chrome il GABC Transcription Toolun fantastico programma che consente, tra le altre cose che sa fare, di ottenere tutte le letture della messa in notazione gregoriana, come pure i salmi (ciascuno può essere declinato negli 8 toni gregoriani, per adattarlo alle relative antifone). Inoltre si possono vedere i propri di ciascuna messa dell'anno, e se fosse troppo difficile qualche canto, si può chiedere al programma di farne "al volo" una versione semplificata applicando uno dei toni salmodici (pensato per i cori piccoli o i gruppi di principianti che non possono certo affrontare complicati graduali o alleluia).
  • 5) Per la liturgia delle Ore attuale, un meraviglioso contributo lo fornisce il sito Liturgia Horarum in Cantu Gregoriano, dove si possono scaricare tutti i libretti di lodi e vespri del rito romano per ogni domenica e festa dell'anno, tutti completamente notati e pronti per l'uso.
  • 6) Per chi desidera formati più tradizionali ecco il Liber Usualis del 1961 completamente scaricabile dall'Internet Archive.
  • 7) In lingua spagnola Gregoriani Cantus un sito tutto dedicato al Canto gregoriano, come molte risorse, tra cui le trascrizioni in notazione moderna dei canti del Graduale Romanum (varie versioni), da scaricare gratuitamente.
Per ascoltare mp3 o video e imparare i canti, il miglior suggerimento è accostare i siti di Corpus Christi Watershed, l'organizzazione americana che diffonde il canto liturgico.
Qui trovate i canti del Kyriale, con pdf e registrazioni; qui, invece, i canti del proprio delle messe secondo la forma Ordinaria del Rito Romano.


mercoledì 10 luglio 2013

I Papi e le loro immagini: almeno un po' di vera arte, per favore!

La statua di Papa Bergoglio davanti alla Cattedrale della capitale argentina (vedi qui)
Papa Francesco si è dispiaciuto molto della statua a lui dedicata nei giardini della cattedrale di Buenos Aires, e ha reagito ordinando che fosse tolta, cosa che immediatamente è avvenuto. A vedere le foto che circolano possiamo capire perché il Pontefice si sia risentito!
La statua non era un monumento commemorativo per segnalare l'evento del primo argentino eletto alla cattedra di Pietro, era piuttosto un manufatto da museo delle cere, che invita i visitatori a farsi una foto insieme al simulacro non potendo avvicinare il prototipo. Una americanata, diciamo in Italia.
C'è però da rilevare che quella di Buenos Aires non è la prima statua in onore di Papa Francesco, come qualche giornalista ha riferito, è piuttosto la prima che lui ha detto di togliere.
Infatti a Cicciano, presso Napoli, già a maggio avevano inaugurato quella che viene descritta "la prima statua di Papa Francesco", opera del maestro Giuseppe Imperatore (foto a sinistra). Pare anzi che sia stata portata al Papa perché la benedicesse. Ma questo non è confermato. C'è poi da dire che la somiglianza della statua di Cicciano con l'originale è un tantino più apprezzabile di quella dell'immagine in vetroresina spuntata presso la cattedrale argentina. Però, a parer mio, un manichino vestito da Papa non possiede una qualità artistica sufficiente.

Dobbiamo comunque domandarci: è possibile ad un Papa impedire che il suo volto venga utilizzato e riprodotto e che gli si dedichino busti, statue e immagini di ogni sorta? La risposta è ovviamente: no. Anche Papa Francesco dovrà capitolare a questa inevitabile sorte, toccata indiscriminatamente a tutti i suoi predecessori, sia in vita che defunti, segno d'affetto da parte dei cristiani, anche se spesso artisticamente poco provveduti.
I Papi, come ci ricordava Benedetto XVI il 27 febbraio scorso, perdono ogni privacy, e questo implica anche la perdita di controllo sulla propria immagine, ma nello stesso tempo acquistano l'affetto degli amici del Signore:
Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della vostra comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui.
Tutti i Papi ispirano ai fedeli, soprattutto nei loro luoghi d'origine, un comprensibile desiderio e orgoglio, e le statue fioriranno nonostante la ritrosia dell'interessato. Le persone semplici, anche culturalmente, sono anzi più inclini a contemplare in effige coloro che amano. Il Papa non è un'eccezione a questa regola antropologica. Ciò è sempre avvenuto, in particolare nei tempi recenti.
Ma dirò di più: Papa Francesco - come sovrano della Città del Vaticano - è già apparso con il suo volto sui francobolli vaticani, e tra poco circolerà sulle monete in euro.
In altri paesi, ad es. le Seychelles, già è stato effigiato sulle locali "rupie" (vedi immagine a destra).
Medaglie celebrative, statuette del presepio a San Gregorio Armeno, portachiavi e immaginette votive non si contano neppure. Per adesso non ha ancora ispirato, come invece il suo amato predecessore, quegli incantevoli orsetti vestiti da Papa, specialità tutta bavarese.

Culto della personalità? Difficile dirlo, comunque sia la statuaria, la medaglistica e anche un certo guadagno economico sull'immagine del Papa sono ineludibile portato dell'elezione al Sommo Pontificato. Nessuno se ne scandalizza né se ne dovrebbe scandalizzare, almeno finché il tutto rimane nel normale scambio tra domanda e offerta, senza sollecitazioni o esasperazioni.
Ma almeno gli ecclesiastici, se proprio devono commissionare delle immagini commemorative del Papa, lo facciano con gusto e con arte! Non in plastica dipinta! Per favore..., utilizzino materiali degni e artisti capaci. E ricordino sempre il monito della statua del beato Giovanni Paolo II piazzata alla stazione Termini di Roma. Anche dopo il "remake" meriterebbe ancora una telefonata "alla Bergoglio". Per non parlare di certi oltraggi a Benedetto XVI, su cui più di un rimbrotto non si è speso.

Statua di Papa Francesco appena inaugurata davanti al Municipio di Rio de Janeiro,
in attesa dell'arrivo del Pontefice per la GMG
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