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giovedì 31 ottobre 2013

Iustorum Animae: canto di Offertorio della Messa di Tutti i Santi

Un bellissimo testo per il canto di offertorio della Messa di Tutti i Santi è, senza dubbio, quello detto "proprio" (che a volte potrebbe essere sostituito, e invece lo è quasi sempre!). L'antifona offertoriale è la stessa sia nella forma Ordinaria che Straordinaria del Rito Romano.
Il testo biblico è tratto dal libro della Sapienza (Sap 3, 1.2.3) e oggi è un brano usato spessissimo dalla liturgia come prima lettura dei funerali:


Iustórum ánimæ in manu Dei sunt, et non tanget illos torméntum malítiæ.
Visi sunt óculis insipiéntium mori, illi autem sunt in pace.
Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento li tocca.
Pàrvero morire agli occhi degli stolti, ma invece essi sono nella pace.

Il canto gregoriano è piuttosto difficile, ma un coro anche piccolo può dirottare verso il mottetto del Perosi che potete ascoltare nel video allegato al post. L'animo sacerdotale e pastorale di don Lorenzo Perosi sapeva scrivere musica semplice eppure capace di nobilitare anche le celebrazioni delle parrocchie piccole e prive di mezzi particolari.
Scarica qui lo spartito del Perosi, Iustorum animae a due voci dispari con accompagnamento d'organo.


Canta: il Coro della Polifonica Ambrosiana, Giuseppe Biella.

Santi e Beati di casa nostra: Tommaso da Firenze ambasciatore per l'unità dei cristiani

Il beato Tommaso Bellacci nasce a Firenze verso il 1370, in una famiglia di macellai (ed è ora invocato come loro protettore). Trascorre la gioventù in cattive compagnie. Frequenta i peggiori teppisti fiorentini, ma quelli poi lo 'rinnegano' quando rischia il carcere a causa di una calunnia. Caduto in crisi nera, gli è di aiuto un concittadino dal nome augurale: Angelo Pace. Gli fa conoscere gli amici suoi, i 'confratelli del Ceppo', e Tommaso in mezzo a loro si ritrova e matura la vocazione religiosa.

Sui 30 anni, chiede di entrare tra i Frati Minori dell'Osservanza di Fiesole; la cosa non scatena entusiasmi tra quei frati di buona memoria. Lo accettano, comunque, come fratello laico, non sacerdote. E tale resterà sempre. Ma presto diventa maestro dei novizi, poi Vicario dell’Osservanza in Calabria. Nel 1423, il futuro santo Bernardino da Siena lo manda a Scarlino, nel Grossetano, a guidare altre comunità fondate da lui.
Per questo viene chiamato anche Tommaso da Scarlino; ma è più noto come Tommaso da Firenze. Raggiunge e supera i 60 anni tra un convento e l’altro. 
Nel 1438 è mandato in Oriente al seguito di Alberto da Sarteano per invitare le Chiese separate al Concilio di Ferrara (poi spostato a Firenze) che papa Eugenio IV ha indetto con uno scopo grandioso: l’unità fra tutti i cristiani. I delegati svolgono la loro missione prima in Siria, presso il patriarca di Antiochia, poi passano in Egitto dal patriarca di Alessandria.

Lì, Alberto da Sarteano si ammala e torna in Italia: il capo è ora Tommaso, che cerca di arrivare in Etiopia, a chiamare al Concilio d'Unione anche i cristiani di laggiù. Tenterà d'arrivarvi via Arabia, perché il sultano vieta di percorrere la valle del Nilo. Tenta tre volte. E per tre volte è catturato coi compagni dai turchi. Tre prigionie successive, tra frustate e minacce di morte. Per due volte essi vengono liberati con riscatto da mercanti fiorentini. La terza volta è il Papa che paga, su richiesta di Alberto da Sarteano.

Tommaso e compagni tornano così in Italia nel 1444-45 (e intanto l’unione dei cristiani non s’è fatta). Ma quella terra gli è rimasta dentro. A dispetto degli anni e dei turchi, vuole tornare in Egitto come missionario. Così, nel 1447, ultrasettantenne, lascia con un compagno il convento abruzzese di Montepiano e s’incammina per Roma: chiederà direttamente al Papa di tornare in Oriente. Ma il suo viaggio e la sua vita terminano a Rieti, dove crolla stremato alla vigilia di Ognissanti (31 ottobre).

Muore poco dopo nella casa dei Francescani conventuali, che gli danno sepoltura nella loro chiesa. Il Papa francescano-conventuale Clemente XIV ne approverà il culto come beato nel 1771.
Nel 2006 i resti mortali sono stati traslati nel santuario dei Frati Minori di Fonte Colombo.

Martirologio Romano: 31 ottobre, A Rieti, beato Tommaso da Firenze Bellaci, religioso dell’Ordine dei Minori, che, partito per la Terra Santa e l’Etiopia, patì il carcere e le torture per Cristo da parte degli infedeli e, tornato infine in patria, riposò in pace quasi centenario.

martedì 29 ottobre 2013

I canti della Messa per i defunti

Quest'anno, in preparazione al 2 novembre, vi propongo una playlist di youtube con tutti i canti gregoriani della Messa pro defunctis. Sono praticamente gli stessi sia nella forma straordinaria che ordinaria, a parte qualche aggiunta o sottrazione (alleluia e Sequenza, per es.). Tutte le messe per i defunti hanno, nel rito romano, lo stesso "set" di canti: davanti alla morte tutti sono uguali e hanno bisogno di preghiera e suffragio (non di mesto ricordo o rimpianti, sentimenti romantici ma più pagani che cristiani). Il credente guarda avanti: non alla vita che si è spenta, ma all'eternità su cui la morte si affaccia. La preghiera è accompagnare l'anima del fratello e della sorella all'incontro con la misericordiosa giustizia di Dio, nella speranza della luce e della vita vera.



venerdì 25 ottobre 2013

Il Twitter del Papa sfiora ormai 10 milioni di seguaci. La rimonta degli ispanici e altre cifre

L'account Twitter @Pontifex, nelle sue varie lingue (sono 8+1, il latino), sta ormai sfiorando i 10 milioni di "followers", seguaci che non solo leggono e meditano i brevi messaggi di testo spediti dal Papa, ma soprattutto "rispediscono" spessissimo ai loro amici quanto il Pontefice ha twittato. In questo modo si attua una vera e propria "semina" su scala mondiale delle parole essenziali e feconde offerte dal Santo Padre.
L'account pontificio è stato aperto a dicembre dell'anno scorso dal pioniere Benedetto XVI, e in meno di un anno ne ha fatta di strada, passando - tra l'altro - dalle mani di Papa Ratzinger alla tastiera di Papa Bergoglio.
Un buon panorama della vicenda del micro-blogging papale ce l'ha fornita qualche giorno fa la conferenza di cui vi relazionavo in questo post.

Adesso volevo riprendere alcuni dati attuali e confrontarli con i dati dell'anno passato, relativi ai primi giorni di attività di @pontifex. Alcuni dati li avevo presentati in questo post.
Come tutti ricordano, l'account era stato aperto vari giorni in anticipo rispetto al fatidico "primo tweet" del 12 dicembre, per permettere, a chi volesse, di iscriversi per tempo. Il giorno 10 dicembre, nelle diverse lingue, ho contato 886.393 followers, il giorno dopo, di mattina, erano 911.807. A distanza di una giornata dal primo tweet, cioè il 13 dicembre, erano quasi raddoppiati: 1.705.759! Un vero successo inaspettato.
Ma piano piano, mese dopo mese, l'usignolo blu del Papa ha continuato ad acquistare amici, nonostante il lungo silenzio del periodo drammatico dell'abdicazione e del successivo tempo del conclave.
Ieri ho contato 9.972.088, quasi 10 milioni di followers!
C'è da dire, però, che questo numero non equivale a 10 milioni di persone fisiche. Come me (e come tanti di voi) sono in parecchi a seguire più di una lingua contemporaneamente (latino compreso).

Comunque sia l'aspetto che più mi preme mettere in evidenza è come sia cambiato il "peso" relativo delle lingue tra l'inizio delle attività in Twitter di Papa Benedetto e la stabilizzazione attuale con Papa Francesco.
Le percentuali parlano da sole e ci raccontano senza ombra di dubbio il risveglio dell'America Latina cattolica, che - grazie al nuovo Papa - ha cominciato ad interessarsi al Santo Padre.
Guardate qui:


Ecco i numeri assoluti, dai contatori di Twitter, che ci mostrano il boom di iscrizioni alla lingua spagnola e portoghese (certo merito della GMG di Rio). Lo spagnolo, quasi raddoppiato in termini percentuali e divenuto la prima lingua dei followers del Papa: è già oltre quota 4 milioni, quasi un milione in più dell'inglese, che pochi mesi fa faceva da padrone (60% degli iscritti, oltre 3 volte il numero degli ispano-parlanti). Un vero exploit:
A parte le percentuali, però, c'è da dire che comunque i fruitori in lingua inglese sono triplicati quanto a numero assoluto.
Anche l'italiano fa un buon risultato, entrando tra le tre lingue che sfondano il milione di followers, aumentando di otto volte. E non parliamo del latino, che pur essendo considerato una "lingua morta", con quasi 180 mila iscritti supera persino lingue vive come il tedesco, il polacco e l'arabo.

La comunicazione via Twitter e l'analisi delle percentuali di iscritti nelle varie lingue mi pare proprio una conferma di quanto già si andava notando: il riaccendersi di interesse per la parola del Papa in varie regioni del mondo, che ora - non solo grazie alla tecnologia, ma soprattutto per la provenienza geografica dell'emittente dei messaggi - si stanno in massa "sintonizzando" sulle sue frequenze.

giovedì 24 ottobre 2013

Perseveranza nella vocazione religiosa: i francescani si interrogano sulla fedeltà in una cultura del provvisorio

Martedì 29 ottobre 2013, dalle ore 9.00, presso l’Auditorium della Pontificia Università Antonianum a Roma, si terrà la giornata di studio: Fedeltà e perseveranza vocazionale in una "cultura del provvisorio": modelli di lettura e proposte formative, organizzata dall'Istituto Francescano di Spiritualità.

Il titolo della Giornata di studio è significativo "Fedeltà e perseveranza vocazionale in una cultura del provvisorio". Spesso si afferma che le famiglie si disgregano e i matrimoni non reggono, ma poche volte ci si interroga su come i religiosi affrontano la propria vocazione e le crisi che essa inevitabilmente comporta. I francescani cercano, giustamente, di "guardare a se stessi" prima di insegnare agli altri a perseverare nella rispettiva vocazione e fanno il punto della situazione osservando le diverse aree del mondo e le differenti risposte al problema.


Nel corso della Giornata interverranno, tra gli altri: il Card. João Braz De Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; Mons. José Rodríguez Carballo OFM, Segretario della stessa Congregazione; il Rev. P. Michael Perry, OFM., Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori; i padri Vidal RodríguezLopez, OFM, e Sergiusz Baldyga, OFM, rispettivamente Segretario Generale e Vicesegretario per la Formazione e gli Studi dell’Ordine dei Frati Minori. E inoltre: Paolo Martinelli, OFMCap, Preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità, Alcide Lindor Tofful, OFMConv, Psicologo - formatore nel contesto latinoamericano e altri esperti delle diverse famiglie francescane maschili e femminili.

E' possibile scaricare il depliant del programma dettagliato della giornata di studio a questo link

Ulteriori informazioni presso:
Pontificia Università Antonianum, segreteria Generale
via Merulana 124 – 00185 Roma (Italia)
tel.: 06 70373502 / 526 – Fax: 06703373604

mercoledì 23 ottobre 2013

Un grande onore: riassunto di un post di Cantuale Antonianum in prima pagina sull'Osservatore Romano

Ogni tanto qualche soddisfazione ce la dà anche la carta stampata. Il 21 ottobre su questo blog (vedi qui) avevo tradotto sommariamente l'interessantissima e vivace conferenza in inglese di Mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, tenuta a Boston il 19 del mese in occasione di un convegno cattolico sui nuovi media.
Ieri il post del Cantuale Antonianum era stato ri-twittato dallo stesso Pontificio Consiglio dall'account @PCCS_VA, ed è poi diventato un articolo nel sito ufficiale (vedi qui):

Oggi con mia gioiosa sorpresa ho letto come articolo di spalla sulla prima pagina dell'Osservatore Romano del 23 ottobre il riassunto della conferenza ricavato dallo stesso post, sotto il titolo "Il Papa in tasca" (vedi anche qui). C'è quasi tutto, con opportuni ritocchi e tagli migliorativi. E' una bella soddisfazione per un piccolo blog di provincia poter essere utile alla Santa Sede e alla sua comunicazione. Anzi, la sinergia della comunicazione ecclesiale - di cui parlava la conferenza di mons. Tighe - si esprime così in pratica, in virtù di quel "formato aperto" che rende cooperativa la comunicazione con i nuovi media, attraverso un arricchimento reciproco e una collaborativa ridistribuzione dei contenuti in varie lingue e con differenti mezzi.

lunedì 21 ottobre 2013

"Padre, mi benedice il tatuaggio della croce qui sul braccio?" Nuova cultura e linguaggi per l'evangelizzazione nei nuovi media

Monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali ha offerto la relazione centrale alla Catholic New Media Conference di Boston lo scorso sabato 19 ottobre, conferenza organizzata dalla Diocesi in collaborazione con SQPN di padre Roderick (uno dei guru della comunicazione cattolica con i nuovi media). Dalla sua nomina da parte di Papa Benedetto nel 2007, Monsignor Tighe è stato coinvolto in tutte le importanti iniziative vaticane attorno ai nuovi media e al loro rapporto con la nuova evangelizzazione.

La relazione del monsignore irlandese - che trovate in inglese nel video e in un sommario mio riassunto in italiano - è veramente illuminante: prima di tutto perché Tighe sa di cosa parla, non fa solo teoria, ma teoria tratta dalla pratica della comunicazione vissuta. In secondo luogo perché mostra cosa sta avvenendo a livello ecclesiale - specialmente Vaticano - con l'arrivo e l'uso dei new media; soprattutto come questi hanno contribuito a far capire cosa vuol dire entrare in una nuova cultura e adattarsi a nuovi linguaggi, da apprendere e usare per relazionarsi con coloro ai quali si vuole offrire il Vangelo. Speriamo sia ascoltato da tanti vescovi e superiori religiosi dai quali questo tipo di sguardo sulla nuova evangelizzazione è completamente estraneo!

A proposito: il titolo accattivante del post richiama una battuta di mons. Tighe nel rispondere alle domande poste dal pubblico, a proposito dei giovani e dei nuovi modi di esprimere la religiosità.



Mons. Paul Tighe esordisce dicendo che quando sui giornali si parla di Chiesa si tende a focalizzare il discorso sul centro e sulle iniziative centralizzate. Ma la Chiesa è contemporaneamente ciò che accade a Roma e ciò che accade nelle comunità locali, in relazione. Il locale, anche la periferia, è essenziale a ciò che la Chiesa è. Inoltre il monsignore ricorda che il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali, con i viaggi dei suoi membri e il confronto con le realtà locali, impara, e impara molto da chi è più avanti nel campo delle comunicazioni e nell'uso dei mezzi digitali; impara da chi sperimenta e magari già impiega alcuni sistemi. Questo perché il Vaticano, se deve iniziare ad impiegare qualche media o una tecnologia particolare per comunicare, deve prima essere abbastanza sicuro che "non esploda da un momento all'altro", cioè che abbia un certo livello di sicurezza testato e problemi - se ci sono - conosciuti e che si sappia come affrontare.
Il relatore passa ai temi della sua esposizione: parlerà principalmente 1) di ciò che è stato fatto dal Vaticano nel campo dei new media, 2) di ciò che si è imparato nel porre in atto queste esperienze, 3) per poi arrivare alla teoria.
Il primo tema è come si è iniziato a far usare Twitter al Papa, all'epoca Papa Benedetto. Certo in 140 caratteri non ci stanno complessi insegnamenti teologici, ma Gesù, in tante frasi evangeliche, dice cose grandi in pochi caratteri. Eppure la cosa ancor più importante dei messaggi è la presenza del Papa in quell'ambiente, nell'ambiente di Twitter.

L'uso di Twitter da parte del Papa è, infatti, soprattutto simbolico. Significa essere presenti in quel luogo virtuale, nell'arena dei social network. Inoltre questa presenza esorta anche altri a vedere il positivo dei new media, specialmente i vescovi (questo internet non è un giocattolo, c'è anche il Papa e lo usa....), ed è di esempio a muoversi in questo campo, di incoraggiamento a chi è un po' lento ad arrivarvi... Gli iscritti alle varie lingue in cui @pontifex twitta stanno ormai giungendo a 10 milioni. Una cifra davvero ragguardevole, anche per chi dice che sempre che i numeri non sono l'essenziale...
Il canale Twitter in Latino è poi un caso piuttosto interessante. Il dipartimento vaticano che si occupa della lingua latina è ben contento di poter offrire traduzioni concise e pregnanti, come solo il latino - così adatto alla sintesi - sa offrire, trovando anche i vocaboli giusti per rendere concetti moderni. Attualmente l'account in latino ha più di 170 mila followers, in centinaia di nazioni diverse. Molti dei followers non sono cattolici e nemmeno credenti, ma studenti o docenti di latino: vengono in contatto con il pensiero e i messaggi del Papa (con il quale non avrebbero motivo di tenersi in rapporto) a partire dal loro interesse per la lingua latina!

Mons Paul parla poi dell'iniziale, incontestabile ed enorme risposta negativa ai tweet del Papa. Era evidente l'attacco massiccio di chi voleva costringere a chiudere l'account twitter, bombardandolo di insulti. Ma chi non vuole la voce del Papa nei social media, non vuole la voce del Papa anche in altri contesti, per questo bisogna essere consapevoli della "piazza del mercato" in cui si sta e non spaventarsi. Eppure anche dalle tante risposte negative si poteva capire e imparare qualcosa. Per es.: che cosa e chi era irritato dalla presenza del Papa, come mai qualcuno era frustrato o colpito negativamente o reso sordo al messaggio della Chiesa... Non si può però omettere anche la parte positiva, i tanti commentatori, cattolici o meno, che hanno espresso il loro apprezzamento per l'iniziativa appena lanciata, per farla fiorire nonostante gli attacchi. E tutti questi vanno ringraziati, perché aiutano a tenere positivo l'ambiente altrimenti solo intossicato dalle risposte negative.

Ovviamente una delle debolezze di @pontifex è la mancanza di interattività. Il Papa non segue altri che se stesso e non risponde. Certo questo è un problema, ma c'è l'opportunità per i followers di costruire una rete capillare di interattività "dal basso", a partire dalla piattaforma di @pontifex, attraverso il loro apporto, soprattutto con il re-twitting (cioè il rilanciare i messaggi del papa dai propri account). Il livello di re-tweets dell'account pontificio è davvero tra i più alti in termini di rapporto al numero di utenti. Così quelli che ricevono i retweets sono molti di più dei seguaci del Papa. E' come ridisseminare il buon seme, facendolo giungere anche a chi non lo riceve direttamente, ma mediante amici che invece seguono il Papa.
Gli hashtag si sa sono importanti. Nell'esperienza del Twitter papale si sono rivelati molto utili non solo e non tanto per la GMG di Rio (cosa forse ovvia vista l'età dei partecipanti e la loro attitudine alle tecnologie), ma ancora di più per l'evento della mobilitazione per la preghiera per la Pace in Siria. Papa Francesco teneva moltissimo a far conoscere questa iniziativa di preghiera, non c'era tempo per far sapere a tutti i cattolici attraverso i foglietti parrocchiali o altri media tradizionali la notizia e i momenti di preghiera. Con Twitter e i social media la cosa è stata possibile: facendola circolare con gli hashtag in maniera velocissima ed efficace.

Un altro lato del problema con le risposte negative in Twitter è stata la reazione di quanti non usando affatto i social media hanno letto sui giornali o hanno sentito in TV degli insulti o dei messaggi negativi contro il Papa. Non sapendo come funziona Twitter, e magari non avendone mai sentito parlare, si sono ovviamente allarmati anche perché esposti al racconto dei media laici (che effettivamente sguazzavano nell'apparente inizio difficile del Twitter papale....). Anche per questo motivo è stata creata la sinergia informativa del Vaticano, per portare su un'unica pagina, in cinque lingue, le notizie dalle diverse fonti vaticane direttamente al fruitore, senza obbligare quest'ultimo a cercarle sui diversi siti: su quello della RadioVaticana, sul sito ufficiale vatican.va, sull'Osservatore Romano e così via, ma mettendole a disposizione tutte insieme aggregate in un unico luogo, e rendendo semplice il contatto e la condivisione con tutti i social media a partire da questo nuovo sito informativo unico. Si tratta di: news.va.
Da cosa nasce cosa, e da news.va nasce anche quella che viene chiamata la "Pope-app", ovvero "il Papa in tasca". Con questa applicazione, attraverso tablet o cellulari si possono leggere le informazioni, ma anche vedere i filmati e pure seguire in diretta video gli eventi o le liturgie presiedute dal Papa.
L'esperimento di news.va in Facebook pare abbia dato dei risultati, sebbene imprevisti: in Facebook è poco l'interesse per le notizie lì condivise, ma è invece enorme l'interesse per tutto quello che concerne la spiritualità (il riferimento di mons. Paul pare vada in particolare alle omelie mattutine della messa del Papa).
Un'altra entusiasmante scoperta su Facebook: il primo video-messaggio pronunciato l'altro giorno dal Papa in inglese (per la prima volta) in occasione della conferenza nelle Filippine, è stato postato anche su Facebook: risultato 250.000 "condividi" nelle prime 3 ore e mezza (Nota del blogger-traduttore: qui si vede che è essenziale oggi per un Papa parlare in altre lingue, soprattutto in inglese, se vuole essere ascoltato. Alla gente non piace l'interprete, vuole che il Papa si rivolga direttamente, in una lingua compresa. Questo è uno degli effetti collaterali dell'esposizione mediatica del Pontefice, ma non si può fare a meno di notarlo: il Papa non può limitarsi a parlare solo in italiano, pena una considerevole perdita di rilevanza per la gran parte dei cattolici che parla o almeno capisce l'inglese.).

Mons. Paul, si dice di certo stupito, ma ancor più sfidato a fare meglio in questo campo, anche attraverso i "micrositi" che mostrano l'interesse crescente per gli eventi a cui il Papa partecipa e per i suoi pensieri spirituali nelle omelie.
Il reltore, parlando in termini di trasformazione (piuttosto che di rivoluzione) nel campo della comunicazione e dei new media, fa quindi presente come questa trasformazione si attua più a livello culturale che a livello di tecnologia:  i giovani e giovanissimi si formano, studiano, cercano informazione in modi molto diversi rispetto alle generazioni precedenti, creano relazioni in maniera diversa. Nessuno sa dove questo porterà. Anche perché questo sviluppo e il suo indirizzo è spesso guidato dal modo in cui gli utilizzatori decidono di muoversi, non è possibile pronosticare o preordinare tutto. Oggi c'è Facebook, domani chissà, anche per Twitter può essere lo stesso (e quante piattaforme sono venute e andate...). La realtà dei social media è in continua evoluzione e continuamente cambia: non solo cambia se stessa, ma cambia noi, il nostro modo di fare comunità, di costruire relazioni, di essere chiesa in termine di manifestazione della chiesa nel mondo.
Per questo c'è bisogno, come diceva Benedetto XVI, anche di una riflessione teologica in tutto questo. Bisogna riflettere su come essere presenti e come essere presenti in modo efficace nel continente digitale: come per le missioni di un tempo, in continenti sconosciuti, tutto inizia anche oggi con l'apprendere la lingua e la cultura del luogo a cui si desidera portare il Vangelo. Questo vale dunque anche per la cultura e i linguaggi del nuovo continente digitale da evangelizzare e in cui inculturare il messaggio evangelico. Dobbiamo chiederci cosa poter imparare, che cosa di questa cultura non solo è compatibile col cristianesimo ma è già ben adatto ad esso, e anche cosa bisogna invece modificare. Come dice Papa Francesco bisogna essere "cittadini" in questa arena, non ritirarsi ai margini, ma abitarla e contribuire con la fede a plasmare l'ambiente. Molta gente sta passando considerevole parte del proprio tempo nei social media e vi investe la propria vita; se la Chiesa non fosse anche lì, mancherebbe di incontrare queste persone.
Le persone delle generazioni più vecchie si stupiscono, fanno "wow!", quando sentono che il Papa è in internet e Twitter. I più giovani reagiscono diversamente; chiedono "e cosa sta dicendo?", per loro sembra normale la presenza, non li stupisce il fatto che il Papa sia lì, ma si chiedono cosa ci stia a fare, i giovani vanno alla relazione.
L'arena digitale, ricorda Mons. Paul, non ci consente di fare ciò che abbiamo sempre fatto: prendere il giornale di carta e metterlo online su un sito web: non funziona così, non è abbastanza. Devo ripensare quello che faccio, utilizzare il dialetto, il gergo della rete. Bisogna imparare il nuovo linguaggio: ciò non significa imparare nuove parole, ma come sviluppare la comunicazione e il dialogo. Le generazioni più vecchie sono abituate alla comunicazione unidirezionale (soprattutto da parte dei preti: sono loro ad avere il microfono in chiesa. Il prete parla, la gente ascolta). Questo è anche il sistema di comunicare della TV. I nuovi media sono diversi: puoi interagire, commentare, dissentire... Si attua una comunicazione partecipativa, che richiede di prendere sul serio le domande e i commenti che arrivano a seguito delle proposte. E' una conversazione che si sviluppa, solitamente in pubblico. Anche le questioni di fede non sono dibattute in privato come un tempo, ma sotto gli occhi di altri che leggono i commenti (chi frequenta i blog lo sa bene...). Tre parole sono essenziali: Ascoltare, conversare, incoraggiare. Per questi tre motivi-azioni stiamo nell'arena dei new media come chiesa.
Come Chiesa siamo sempre stati molto bravi con il testo scritto. Siamo ancora molto bravi con i testi, e come teologi, siamo capaci e ben attrezzati ad analizzare testi scritti. Ora invece vanno parole, immagini e suoni: siamo tornati, in certo modo, al pre-letterario. Ma anche con questo linguaggio eravamo bravi come chiesa, soprattutto nel campo della musica, della pittura, in generale dell'arte, che dà piacere e tocca il cuore.
Un'altra questione di linguaggio sollevata da Tighe è quella del vocabolario: grazia, salvezza, evangelizzazione, riconciliazione, ecc. tutte parole tradizionali, portatrici di grandi significati, che però non si possono più dare per scontate, non si può presumere siano capite solo perché tradotte nella lingua parlata dagli ascoltatori. Non sono parole "entry level" e in realtà non vengono più collegate con significati compresi. Persino parlare di "Vaticano II" per i giovani non ha molto senso, insiste mons. Tighe, non capiscono la sigla, possono pensare che sia qualcosa come la targa della seconda automobile del Papa! Ma non dobbiamo per questo perdere il linguaggio della teologia e della liturgia, sebbene comprendiamo che non sia linguaggio "di base", per tutti, e ci rendiamo conto che per il primo approccio è necessario un altro linguaggio.

Nel cammino dei new media noi cristiani siamo pellegrini con il resto delle persone. Papa Francesco suggeriva di non correre né troppo avanti, né rimanere eccessivamente indietro, ma voler camminare insieme, nel mezzo, in compagnia. Accompagniamo gli altri ad incontrare Cristo, con pazienza, con attenzione, con genuinità che possa essere percepita e accolta dagli interlocutori, assumendoci la responsabilità della relazione, entrando nella cultura dell'interlocutore e nel suo linguaggio, parlando di fede in maniera sincera e con verità.
Con una battuta, poi, mons. Paul ricorda ai convenuti che già dire "nuovi media" (new media) rivela l'età di chi sta parlando. Per la maggior parte delle persone che li usa, e sono giovani, questi sono semplicemente i "media", mezzi di comunicazione. Il panorama dei social media oggi si basa fondamentalmente su concetti di peer to peer (scambio alla pari), gratuità, apertura. In questo panorama, dunque, pare non ci sia autorità, e invece, spiega il segretario del PCCS, la celebrità ha sostituito l'autorità, ovvero la celebrità è una forma di autorevolezza. Papa Francesco ne è un esempio: è una celebrità oltre che un'autorità. Per questo c'è chi lo ascolta in quanto celebrità, perché egli cattura l'immaginario pubblico, non perché sia il vescovo di Roma. In questo ambiente e cultura plasmati dai media, l'autorità (in senso di autorevolezza) è da guadagnare, non da reclamare o pretendere per la propria posizione.
Nel flusso di discorsi di internet il compito dei comunicatori cristiani è di cercare di dare un'anima alla rete, nel senso di provocare i partecipanti alla conversazione ad interrogarsi, ad approfondire, a cercare la vera sapienza, nel senso di una umanità integrale. Non siamo noi l'anima di internet, ma possiamo contribuire ad aprire uno spazio di spiritualità in questo ambiente, perché ogni essere umano è portatore di domande profonde, a noi il compito di fornire il luogo, la cornice per affrontarle in maniera sensata, mostrando ciò che avviene nelle nostre chiese, non solo raccontandogli una storia su di essa. La visione della Chiesa nella mente di molte persone è negativa, per via di ciò che hanno sentito o gli è stato riportato, non per esperienza personale: per questo è essenziale mostrare la vita della Chiesa, soprattutto la vita della chiesa a livello locale, dove ci si prende cura delle persone, si sostengono e rafforzano le persone con generosità. Allora si potrà dire: unisciti a noi, aiutaci, costruisci con noi la comunità.

Il fatto che oltre a cercare relazioni e informazioni per sé stessi, nei social media si incontri tanta voglia di condividere, persone che donano ciò che fanno o scrivono, ci dice che la natura umana non è cambiata e questo ne è un segno peculiare.
D'altra parte il seguire (o l'essere seguiti) su Twitter è di solito un esercizio di rafforzamento di ciò che già penso e credo: a tutti piace un bel bagno nelle proprie idee e pregiudizi! Questo è certo un limite: quando parliamo di amico, di amico vero, intendiamo quello che a volte non è d'accordo con me e me lo dice.
Il desiderio di condividere l'incontro con Cristo, l'arricchimento che questo incontro ha dato a noi, ci deve motivare nell'uso dei media, non per fare un proselito in più, per cercare il successo nei numeri... Dare ragione della speranza che è in me e portare altri all'incontro personale con Cristo: un mistero che accade, non qualcosa che si può costruire con idee da ingegnere.
Questo non significa, comunque, che il lavoro dei comunicatori non sia importante o non debba essere professionale. Anzi dobbiamo fare bene, migliorare la qualità della nostra comunicazione, ma sapendo che poi il successo dell'evangelizzazione dipende da Cristo e dalla sua grazia, a cui noi però vogliamo dare la migliore testimonianza possibile.
Anche gli errori aiutano certo a migliorare, e così il condividere successi come pure gli insuccessi, che possono ispirare e aiutare altri. Abbiamo bisogno di molta collaborazione sia tra persone in paesi diversi, sia ai vari livelli della chiesa, locale e universale.
Nel messaggio per i 30 anni del Centro Televisivo Vaticano Papa Francesco ha ricordato che c'è bisogno di "convergenza" non di "competizione" come strategia per le iniziative della Chiesa nei media ("Convergere anziché concorrere è la strategia delle iniziative mediali nel mondo cattolico"). Vuol dire che non dobbiamo parlare del "mio" sito, il "mio" spettacolo, i "miei" followers, ma facciamo convergere, portiamo insieme e lavoriamo insieme come Chiesa.
Certo c'è anche qui un rischio, ma un rischio che va corso: quello di dare fiducia soprattutto ai giovani, senza troppa paura degli errori. Come tutti sanno, quando si impara una lingua straniera si fanno all'inizio errori tremendi, ma se non fai errori non imparerai mai! Non esiste la strategia unica, definitiva e perfetta e centralizzata, che solo aspetta di essere implementata. Come la Chiesa, anche la sua comunicazione non è così centralizzata come alcuni credono. C'è bisogno di provare e sperimentare le varie piattaforme di social media; vedere cosa possono dare e come possono adattarsi: provarle tutte - dice con ironia mons. Paul - ma non sposare nessuna di queste, rimanere flessibili, pronti al cambiamento. C'è da evitare "l'imperativo tecnologico" e tenere sempre presente che si tratta di comunicazione umana, cuore a cuore, prima di tutto, non principalmente di tecnologia.

Disclaimer: il testo qui sopra è una traduzione sommaria, e con qualche interpolazione e spiegazione, ma sostanzialmente fedele alla conferenza che avete integrale nel video. 

sabato 19 ottobre 2013

Psallite sapienter: VI seminario di Canto Gregoriano a Padova

Anche per il 2013-14 prende il via il mese prossimo il seminario di Canto Gregoriano, diretto dal Maestro Alberto Turco, a cura della Fondazione Ugo e Olga Levi, in collaborazione con l'Istituto di Liturgia Pastorale di Santa Giustina - Padova. Sono aperte le iscrizioni. Potete scaricare qui il depliant con tutte le informazioni, luoghi e orari, e qui la scheda di adesione (le iscrizioni chiudono il 7 novembre)
Il Direttore del seminiario, Alberto Turco, lo presenta così:

Viene riproposto anche quest’anno il corso di Canto gregoriano presso l’accogliente Abbazia di Santa Giustina di Padova. Il crescente coinvolgimento dei partecipanti ai corsi precedenti è un buon indice di gradimento, che ci sollecita nel proseguire con fiducia nel cammino intrapreso, proponendo una sesta edizione. Per alcuni si tratterà di un approfondimento della conoscenza teorica e pratica del gregoriano; per altri diventerà la sorprendente scoperta di un mondo ormai sconosciuto, la bellezza di un’arte e di una fede realizzata dall’uomo, ma destinata a Dio.

La Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia, in collaborazione con l’Istituto di Liturgia Pastorale, cui va un doveroso ringraziamento, tra le varie iniziative rivolte a valorizzare il patrimonio dell’arte musicale in Italia, ha inserito anche lo studio del Canto gregoriano, ritenuto universalmente l’espressione musicale alla radice della cultura europea ed una eredità culturale e spirituale di incomparabile ricchezza. Il gregoriano può costituire ancora il fondamento per una solida e appropriata educazione alla musica in genere nonché, in modo speciale, alla musica liturgica. Volesse il cielo che il presente messaggio venisse recepito anche dai sacerdoti e dai religiosi, primi attori delle celebrazioni liturgiche della chiesa cattolica: «Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati» (Sacrosanctum Concilium, 115).

Il programma di questa sesta edizione prevede tre momenti ben distinti: il triennio fondamentale per una formazione di base completa e per una pratica approfondita del repertorio gregoriano; il corso monografico, in risposta a varie richieste di un maggior approfondimento dei contenuti del triennio fondamentale ed un aggiornamento in materia di studi gregorianistici.

Il corso triennale ha una ratio studiorum definita e collaudata alla comprensione della monodia gregoriana nei suoi aspetti storici, liturgici ed estetici fornendo gli strumenti per un’esecuzione del repertorio quanto più fedele ai dati della tradizione musicale testimoniata dagli antichi manoscritti. Il corso monografico verterà sul tema fondamentale dell’interpretazione gregoriana: l’articolazione ritmica testuale e melodica nel canto gregoriano dei vari neumi, alla luce della simbiosi testo-melodia e della notazione musicale semio-estetica.

Un cordiale benvenuto a quanti per la prima volta intendono iniziare un cammino che speriamo proficuo e duraturo, e a quanti da anni partecipano ai corsi condividendone gli ideali e le finalità con spirito di fraternità e di amicizia.

martedì 15 ottobre 2013

Perché i cattolici che dopo il divorzio si risposano non possono ricevere i sacramenti? Risponde la Commissione Teologica Internazionale

In questi giorni sentiamo spesso e con dispiacere interpretare male, piegare o di proposito fraintendere le parole di attenzione pastorale del Santo Padre Francesco riferite alle difficoltà che possono colpire le famiglie e le coppie di sposi. Fino al punto che ci sono commentatori (non solo giornalisti) i quali arrivano a mettere in bocca al successore di Pietro le proprie opinioni e sono poi anche convinti - per gli applausi di colleghi o di lettori indifferenti al bene della Chiesa e dei cristiani - di essere nel giusto.
Visto che il magistero unanime e concorde a tutti i livelli (compreso quello di Papa Francesco) non lo si vuole più ascoltare, proviamo a rivolgerci ai teologi, che pare abbiano più "successo mediatico".
Vi espongo un testo di quell'autorevole organismo - ma non fonte di magistero - che è la Commissione Teologica Internazionale, la quale studia ad alto livello e in profondità i problemi teologici e fornisce poi ai Pastori i risultati delle ricerche come base per prendere decisioni o per formulare la dottrina.
Nel 1977, in pieno post-concilio ma in epoca pre-Wojtyla e pre-Ratzinger, fu stilato il documento: "La dottrina cattolica sul sacramento del Matrimonio". Tale scritto, qui sotto citato, riassume in maniera sintetica, chiara e comprensibile i motivi DI FEDE per cui il matrimonio tra battezzati è un sacramento ed è indissolubile e perché - quando è valido - non permette ai singoli coniugi di risposarsi finché è in vita il marito o la moglie. Sono motivi di fede, basati sulla sacra Scrittura e sul volere di Cristo, non quisquilie da talk show.
Prego perciò quanti sono chiamati a commentare le questioni ecclesiali di prenderne visione e di smettere di colpevolizzare o condannare in nome di questo o quell'altro teologo l'intera prassi pastorale che noi poveri preti, con tanta fatica e fedeltà alla Chiesa, cerchiamo di portare avanti.
Alla fin fine siamo noi poveri preti - non i commentatori - a stare ogni giorno in prima linea nelle parrocchie e nei confessionali, ambulatori di primo soccorso della Chiesa-ospedale-da-campo; siano noi i medici a cui sono affidate le anime! Non chiedeteci di essere cialtroni imbonitori o di dire alle persone: "tutto va bene" quanto non va bene per niente. Il Papa non fa così. Le sue carezze sono quelle del buon medico, che si rende conto quanto la cura riabilitante sia faticosa e dolorosa. Non risparmia le incisioni, ma le lenisce con il farmaco dell'umanità e della vicinanza affettuosa. Lasciateci dunque aiutare spiritualmente le persone a riprendere la via e la vita cristiana, non curandole con la medicina di una falsa misericordia mondana (che sarebbe tanto facile...) ma con la vera, buona ed esigente misericordia di Gesù Cristo (che è evangelica e punta alla guarigione dal peccato). Un matrimonio valido è e rimarrà indissolubile, al Sinodo discuteranno del problema della nullità e dell'accesso più agevole alla verifica della realtà dei matrimoni caso per caso. Nessuno, men che meno Papa Francesco, cambierà la definizione di "matrimonio" e di "famiglia" in segno di "apertura" alla modernità, come vanno blaterando i giornali anche oggi.
I segni sacramentali non sono "caramelle" e la Chiesa non ha il potere di distribuirli, gestirli o modificarli a piacimento; può solo "amministrarli" secondo la volontà di colui che ne è l'Autore.
A chi non piace questa Madre Chiesa, sposa di Cristo, e ripete il ritornello: "LA CHIESA DEVE CAMBIARE!" vorrei sommessamente ricordare: Guarda che Gesù dice un'altra cosa: "convertitevi e credete al vangelo!". Non è mai tardi per iniziare.

Cristo e la Chiesa sua sposa
Il testo della Commissione teologica internazionale (che potete leggere tutto intero qui), è composto di due parti. Nella prima (A) ci sono delle propositiones, approvate in forma specifica, sulla teologia del matrimonio (sotto vi riporto quelle raggruppate al titolo 5). Nella seconda parte (B) vengono esposte 16 testi del padre gesuita Gustave Martelet, approvate in forma generica, davvero belle e da riprendere anche in futuri Sinodi sulla famiglia.

5. Divorziati risposati

5.1. Radicalismo evangelico

Fedele al radicalismo del vangelo, la chiesa non può porsi nei confronti dei fedeli con parole diverse da quelle dell’apostolo Paolo: « Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non ripudi la moglie » (1 Cor 7, 10-11). Ne deriva che le nuove unioni, dopo un divorzio ottenuto con una legge civile, non sono né regolari né legittime.

5.2. Testimonianza profetica

Questo rigore non è dovuto a una legge puramente disciplinare o a un certo legalismo. Si fonda sul giudizio che il Signore ha dato a questo proposito (Mc 10, 6 ss.). In quest’ottica, questa regola severa è una testimonianza profetica resa alla fedeltà irreversibile dell’amore che lega il Cristo alla chiesa. Essa dimostra ancora come l’amore degli sposi sia assunto nella carità stessa di Cristo (Ef 5, 23-32).

5.3. La « non-sacramentalizzazione »

L’incompatibilità dello stato dei « divorziati-risposati » con il precetto e il mistero dell’amore pasquale del Signore comporta per questi l’impossibilità di ricevere, nella santa eucaristia, il segno dell’unità con Cristo. L’ammissione alla comunione eucaristica può avvenire solo dopo la penitenza che implica « il pentimento per il peccato commesso e il buon proposito di non commetterlo più in futuro » (Concilio di Trento, DS 1676). Tutti i cristiani debbono ricordarsi le parole dell’apostolo: «... Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna » (1 Cor 11, 27-29).

5.4. Pastorale dei divorziati risposati

Questa situazione illegittima non consente di vivere in piena comunione con la chiesa. E tuttavia i cristiani che vi si trovano non sono esclusi dall’azione della grazia di Dio e dal legame con la chiesa. Non debbono essere privati della cura dei pastori (Allocuzione pontificia di Paolo VI, 4 novembre 1977). Essi hanno ancora molti compiti che loro derivano dal battesimo. Devono attendere all’educazione religiosa dei loro bambini. La preghiera cristiana sia pubblica che privata, la penitenza, certe attività apostoliche sono sempre modi per vivere la loro vita cristiana. Non debbono essere disprezzati ma aiutati come tutti i cristiani che, con l’aiuto della grazia di Cristo, si sforzano per liberarsi dal peccato.

5.5. Combattere le cause del divorzio

È sempre più necessario svolgere un’azione pastorale che tenda ad evitare il moltiplicarsi dei divorzi e delle nuove unioni civili dei divorziati. In particolare è necessario inculcare ai nuovi sposi una coscienza viva di tutte le loro responsabilità di coniugi e di genitori. È fondamentale presentare in modo sempre più efficace il significato autentico del matrimonio sacramentale come alleanza realizzata « nel Signore » (1 Cor 7, 39). In questo modo i cristiani saranno più preparati a conformarsi al comandamento del Signore e a rendere testimonianza all’unione di Cristo con la chiesa. Questo d’altronde sarà fatto per il maggior bene degli sposi, per quello dei bambini come pure per la società stessa.
.......

La tesi 12 del padre Gustave Martelet S.J.:

12. Divorzio e eucaristia

Senza misconoscere le circostanze attenuanti e talvolta anche la qualità di un matrimonio civile successivo al divorzio, l’accesso dei divorziati risposati all’eucaristia risulta incompatibile con il mistero di cui la chiesa è servitrice e testimone. Accogliendo i divorziati risposati all’eucaristia, la chiesa lascerebbe credere a tali coniugi che essi possono, sul piano dei segni, comunicare con colui del quale essi rifiutano il mistero coniugale sul piano della realtà.

Fare una cosa del genere, significherebbe inoltre che la chiesa si dichiara d’accordo con battezzati, al momento in cui essi entrano o restano in una contraddizione obiettiva ed evidente con la vita, il pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della chiesa. Se essa potesse comunicare il sacramento dell’unità a quelli e a quelle che, su un punto essenziale del mistero di Cristo, hanno rotto con lui, essa non sarebbe più segno e testimone del Cristo, ma suo contro-segno e suo contro-testimone. Non di meno, però, tale rifiuto non giustifica assolutamente una qualche procedura infamante che sarebbe in contraddizione, a sua volta, con la misericordia di Cristo verso noi peccatori.

Trovate a questo link l'intero documento della CTI "La dottrina cattolica sul sacramento del matrimonio" che suggerisco vivamente di leggere e tenere presente.

sabato 12 ottobre 2013

Lo sguardo ironico del cardinale cappuccino

Per i francescani ogni cosa di questo mondo ha un significato spirituale, è quasi un gradino della scala che porta verso il cielo: nulla è per caso e l'ordine delle cose di questo mondo riflette l'intenzionalità dello spirito. Fedele alla sua formazione cappuccina il cardinale O'Malley, raccontando sul suo blog la visita alla casa generalizia dei Gesuiti di Roma, fa un commento ironico a proposito della disposizione di alcuni oggetti....
Sean O'Malley è ritratto con il Preposito Generale della Compagnia di Gesù Adolfo Nicolás, che gli mostra la casa.
Il cardinale è attratto dall'imponente statua di Sant'Ignazio di Loyola, immortalato mentre dice ai Gesuiti: "Andate, infiammate, incendiate tutto il mondo!"
Poi, spostando lo sguardo l'occhio del cappuccino vede qualcos'altro e commenta: I thought it was ironic that they keep a big fire extinguisher right next to it! ovvero: "Mi è parso ironico il fatto che i gesuiti tenessero un grosso estintore proprio accanto a questa statua!"

Potete leggere tutta la relazione della recente visita a Roma e Assisi del Cardinale O'Malley sul suo eminentissimo Blog.

giovedì 10 ottobre 2013

L'intero Messale Italiano-Latino del 1965 (feriale) digitalizzato e disponibile nel web

E' stata una grande fatica e un'impresa non da poco scansionare una ad una le oltre mille pagine del Messale feriale Italiano-Latino del 1965, e comprimere poi abbastanza il PDF per postarlo sul Web (sono venuti comunque più di 230MB!). Ma ce l'abbiamo fatta e ne valeva la pena.
In collaborazione con altri confratelli che hanno dato una mano notevole, ecco a voi - credo per la prima volta tutto intero in formato digitale - il Messale feriale del 1965.
Dico "feriale", perché la traduzione "provvisoria" postconciliare del Messale del 1962 era uscita in due volumi (uno per le domeniche e solennità e l'altro per i giorni feriali). Molti ne hanno sentito parlare, ma non avevano avuto la possibilità di vedere questo primo frutto della riforma liturgica secondo le indicazioni di Sacrosanctum Concilium e il volere del Papa Paolo VI.
Il testo latino, in carattere più piccolo, corre su ogni pagina e la traduzione accurata e letterale (a volte troppo letterale) l'accompagna, permettendo un passaggio "soft" tra l'antica e la nuova forma. Il calendario e i formulari sono identici a quelli del Messale del 1962, mentre le rubriche sono già semplificate rispetto al Vetus Ordo. C'è anche da dire che a questo stadio della riforma, durato dal 1964/5 al 1969/70, avevano aderito pressoché tutti. Anche Mons. Lefebvre non aveva problemi con questa soluzione ed esperimento pratico della riforma liturgica (vedi questo post)
Se, in seguito, alcuni non avessero avuto tanta fretta di arrivare a definire la forma nuova della Messa, ma si fosse proceduto con la calma dell'albero secolare che cresce (invece che con la rapidità del condominio da costruire), probabilmente oggi la questione liturgica sarebbe molto meno segnata da cicatrici e risentimenti.
Potete scaricare al collegamento qui sotto il prezioso volume in formato PDF. Google Drive dice che il file supera la dimensione massima gestibile dal sito, ma comunque fa iniziare il download confermando la richiesta

mercoledì 9 ottobre 2013

E Ratzinger risponde: 5 obiezioni e 5 risposte dell'ex-Papa sulla pastorale dei divorziati risposati

Nel 2011 l'Osservatore Romano ha ripubblicato queste chiare argomentazioni pubblicate nel 1998 dall'allora Card. Ratzinger alle ricorrenti obiezioni sollevate per aggirare o denigrare la pastorale cattolica nei confronti delle persone che dopo un matrimonio valido decidono di passare a nuove nozze. Ratzinger, con ottima sintesi, mostra che le questioni non sono "soggettive" o di carattere morale e nemmeno di difformità di prassi tra Oriente e Occidente, sottolinea invece che ogni soluzione non può prescindere dalla fedeltà alla Parola di Dio, espressa con evidenza nei Vangeli e nelle lettere di san Paolo, ed attestata dal magistero dei Padri della Chiesa fino ai nostri giorni.


A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati

Nel 1998 il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, introdusse il volume intitolato Sulla pastorale dei divorziati risposati, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in una collana del dicastero («Documenti e Studi», 17). Per l’attualità e l’ampiezza di prospettive di questo scritto poco conosciuto, ne riproponiamo la terza parte, con l’aggiunta di tre note. Il testo è disponibile sul sito del giornale (www.osservatoreromano.va), oltre che in italiano, anche in francese, inglese, portoghese, spagnolo e tedesco.

La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 (vedi qui il testo) ha avuto una vivace eco in diverse parti della Chiesa. Accanto a molte reazioni positive si sono udite anche non poche voci critiche. Le obiezioni essenziali contro la dottrina e la prassi della Chiesa sono presentate qui di seguito in forma per altro semplificata.

Alcune obiezioni più significative — soprattutto il riferimento alla prassi ritenuta più flessibile dei Padri della Chiesa, che ispirerebbe la prassi delle Chiese orientali separate da Roma, così come il richiamo ai principi tradizionali dell’epikèia e della aequitas canonica — sono state studiate in modo approfondito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Gli articoli dei professori Pelland, Marcuzzi e Rodriguez Luño (1) sono stati elaborati nel corso di questo studio. I risultati principali della ricerca, che indicano la direzione di una risposta alle obiezioni avanzate, saranno ugualmente qui brevemente riassunti.

1. Molti ritengono, adducendo alcuni passi del Nuovo Testamento, che la parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio permetta un’applicazione flessibile e non possa essere classificata in una categoria rigidamente giuridica.

Alcuni esegeti rilevano criticamente che il Magistero in relazione all’indissolubilità del matrimonio citerebbe quasi esclusivamente una sola pericope — e cioè Marco, 10, 11-12 — e non considererebbe in modo sufficiente altri passi del Vangelo di Matteo e della prima Lettera ai Corinzi. Questi passi biblici menzionerebbero una qualche “eccezione” alla parola del Signore sull’indissolubilità del matrimonio, e cioè nel caso di pornèia (Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso di separazione a motivo della fede (1 Corinzi, 7, 12-16). Tali testi sarebbero indicazioni che i cristiani in situazioni difficili avrebbero conosciuto già nel tempo apostolico un’applicazione flessibile della parola di Gesù.

A questa obiezione si deve rispondere che i documenti magisteriali non intendono presentare in modo completo ed esaustivo i fondamenti biblici della dottrina sul matrimonio. Essi lasciano questo importante compito agli esperti competenti. Il Magistero sottolinea però che la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio deriva dalla fedeltà nei confronti della parola di Gesù. Gesù definisce chiaramente la prassi veterotestamentaria del divorzio come una conseguenza della durezza di cuore dell’uomo. Egli rinvia — al di là della legge — all’inizio della creazione, alla volontà del Creatore, e riassume il suo insegnamento con le parole: «L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 9). Con la venuta del Redentore il matrimonio viene quindi riportato alla sua forma originaria a partire dalla creazione e sottratto all’arbitrio umano — soprattutto all’arbitrio del marito, per la moglie infatti non vi era in realtà la possibilità del divorzio. La parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio è il superamento dell’antico ordine della legge nel nuovo ordine della fede e della grazia. Solo così il matrimonio può rendere pienamente giustizia alla vocazione di Dio all’amore ed alla dignità umana e divenire segno dell’alleanza di amore incondizionato di Dio, cioè «Sacramento» (cfr. Efesini, 5, 32).

La possibilità di separazione, che Paolo prospetta in 1 Corinzi, 7, riguarda matrimoni fra un coniuge cristiano e uno non battezzato. La riflessione teologica successiva ha chiarito che solo i matrimoni tra battezzati sono «sacramento» nel senso stretto della parola e che l’indissolubilità assoluta vale solo per questi matrimoni che si collocano nell’ambito della fede in Cristo. Il cosiddetto «matrimonio naturale» ha la sua dignità a partire dall’ordine della creazione ed è pertanto orientato all’indissolubilità, ma può essere sciolto in determinate circostanze a motivo di un bene più alto — nel caso la fede. Così la sistematizzazione teologica ha classificato giuridicamente l’indicazione di san Paolo come privilegium paulinum, cioè come possibilità di sciogliere per il bene della fede un matrimonio non sacramentale. L’indissolubilità del matrimonio veramente sacramentale rimane salvaguardata; non si tratta quindi di una eccezione alla parola del Signore. Su questo ritorneremo più avanti.

A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla pornèia esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di Cristo.

2. Altri obiettano che la tradizione patristica lascerebbe spazio per una prassi più differenziata, che renderebbe meglio giustizia alle situazioni difficili; la Chiesa cattolica in proposito potrebbe imparare dal principio di «economia» delle Chiese orientali separate da Roma.

Si afferma che il Magistero attuale si appoggerebbe solo su di un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa, della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa, della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il Sinodo dei Vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio.

Lo studio di padre Pelland mostra la direzione, in cui si deve cercare la risposta a queste questioni. Per l’interpretazione dei singoli testi patristici resta naturalmente competente lo storico. A motivo della difficile situazione testuale le controversie anche in futuro non si placheranno. Dal punto di vista teologico si deve affermare:

a. Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla volontà del Signore, la Chiesa non ha nessun potere in proposito. Proprio per questo il matrimonio cristiano fu fin dall’inizio diverso dal matrimonio della civiltà romana, anche se nei primi secoli non esisteva ancora nessun ordinamento canonico proprio. La Chiesa del tempo dei Padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento.

b. Nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione dopo un tempo di penitenza. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli Paesi concessioni in materia, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra anche vero che singoli Padri, ad esempio Leone Magno, cercarono soluzioni “pastorali” per rari casi limite.

c. In seguito si giunse a due sviluppi contrapposti:

— Nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e Chiesa, una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili. Fino alla riforma gregoriana una simile tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese orientali separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo millennio e condusse a una prassi sempre più liberale. Oggi in molte Chiese orientali esiste una serie di motivazioni di divorzio, anzi già una «teologia del divorzio», che non è in nessun modo conciliabile con le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Nel dialogo ecumenico questo problema deve essere assolutamente affrontato.

— Nell’Occidente fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri. Questo sviluppo trovò in qualche modo una sanzione nel concilio di Trento e fu riproposto come dottrina della Chiesa nel concilio Vaticano II.

La prassi delle Chiese orientali separate da Roma, che è conseguenza di un processo storico complesso, di una interpretazione sempre più liberale — e che si allontanava sempre più dalla parola del Signore — di alcuni oscuri passi patristici così come di un non trascurabile influsso della legislazione civile, non può per motivi dottrinali essere assunta dalla Chiesa cattolica. Al riguardo non è esatta l’affermazione che la Chiesa cattolica avrebbe semplicemente tollerato la prassi orientale. Ettore Goffi, «Matrimonio» (1996) Certamente Trento non ha pronunciato nessuna condanna formale. I canonisti medievali nondimeno ne parlavano continuamente come di una prassi abusiva. Inoltre vi sono testimonianze secondo cui gruppi di fedeli ortodossi, che divenivano cattolici, dovevano firmare una confessione di fede con un’indicazione espressa dell’impossibilità di un secondo matrimonio.

3. Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell’epikèia e della aequitas canonica.

Alcuni casi matrimoniali, così si dice, non possono venire regolati in foro esterno. La Chiesa potrebbe non solo rinviare a norme giuridiche, ma dovrebbe anche rispettare e tollerare la coscienza dei singoli. Le dottrine tradizionali dell’epikèia e della aequitas canonica potrebbero giustificare dal punto di vista della teologia morale ovvero dal punto di vista giuridico una decisione della coscienza, che si allontani dalla norma generale. Soprattutto nella questione della recezione dei sacramenti la Chiesa dovrebbe qui fare dei passi avanti e non soltanto opporre ai fedeli dei divieti.

I due contributi di don Marcuzzi e del professor Rodríguez Luño illustrano questa complessa problematica. In proposito si devono distinguere chiaramente tre ambiti di questioni:

a. Epikèia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L’indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di «diritto divino». La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali — ad esempio nella pastorale dei Sacramenti —, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma. (2)

b. La Chiesa ha invece il potere di chiarire quali condizioni devono essere adempiute, perché un matrimonio possa essere considerato come indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù. Nella linea delle affermazioni paoline in 1 Corinzi, 7 essa ha stabilito che solo due cristiani possano contrarre un matrimonio sacramentale. Essa ha sviluppato le figure giuridiche del privilegium paulinum e del privilegium petrinum. Con riferimento alle clausole sulla pornèia in Matteo e in Atti, 15,20 furono formulati impedimenti matrimoniali. Inoltre furono individuati sempre più chiaramente motivi di nullità matrimoniale e furono ampiamente sviluppate le procedure processuali. Tutto questo contribuì a delimitare e precisare il concetto di matrimonio indissolubile. Si potrebbe dire che in questo modo anche nella Chiesa occidentale fu dato spazio al principio della oikonomìa, senza toccare tuttavia l’indissolubilità del matrimonio come tale.

In questa linea si colloca anche l’ulteriore sviluppo giuridico nel Codice di Diritto Canonico del 1983, secondo il quale anche le dichiarazioni delle parti hanno forza probante. Di per sé, secondo il giudizio di persone competenti, sembrano così praticamente esclusi i casi, in cui un matrimonio invalido non sia dimostrabile come tale per via processuale. Poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale e vale il principio fondamentale nemo iudex in propria causa («Nessuno è giudice nella propria causa»), le questioni matrimoniali devono essere risolte in foro esterno. Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l’applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili.

c. Certamente non è escluso che in processi matrimoniali intervengano errori. In alcune parti della Chiesa non esistono ancora tribunali ecclesiastici che funzionino bene. Talora i processi durano in modo eccessivamente lungo. In alcuni casi terminano con sentenze problematiche. Non sembra qui in linea di principio esclusa l’applicazione della epikèia in “foro interno”. Nella Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 si fa cenno a questo, quando viene detto che con le nuove vie canoniche dovrebbe essere escluso «per quanto possibile» ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva (cfr. Lettera, 9). Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in “foro interno” ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una “eccezione”, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico — sottratto al giudizio soggettivo — del matrimonio.

4. Molti accusano l’attuale Magistero di involuzione rispetto al Magistero del Concilio e di proporre una visione preconciliare del matrimonio.

Alcuni teologi affermano che alla base dei nuovi documenti magisteriali sulle questioni del matrimonio starebbe una concezione naturalistica, legalistica del matrimonio. L’accento sarebbe posto sul contratto fra gli sposi e sullo ius in corpus. Il Concilio avrebbe superato questa comprensione statica e descritto il matrimonio in un modo più personalistico come patto di amore e di vita. Così avrebbe aperto possibilità per risolvere in modo più umano situazioni difficili. Sviluppando questa linea di pensiero alcuni studiosi pongono la domanda se non si possa parlare di «morte del matrimonio», quando il legame personale dell’amore fra due sposi non esiste più. Altri sollevano l’antica questione se il Papa non abbia in tali casi la possibilità di sciogliere il matrimonio.

Chi però legga attentamente i recenti pronunciamenti ecclesiastici riconoscerà che essi nelle affermazioni centrali si fondano su Gaudium et spes e con tratti totalmente personalistici sviluppano ulteriormente sulla traccia indicata dal Concilio la dottrina ivi contenuta. È tuttavia inadeguato introdurre una contrapposizione fra la visione personalistica e quella giuridica del matrimonio. Il Concilio non ha rotto con la concezione tradizionale del matrimonio, ma l’ha sviluppata ulteriormente. Quando ad esempio si ripete continuamente che il Concilio ha sostituito il concetto strettamente giuridico di “contratto” con il concetto più ampio e teologicamente più profondo di “patto”, non si può dimenticare in proposito che anche nel “patto” è contenuto l’elemento del “contratto” pur essendo collocato in una prospettiva più ampia. Che il matrimonio vada molto al di là dell’aspetto puramente giuridico affondando nella profondità dell’umano e nel mistero del divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola “sacramento”, ma certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il Concilio ha dato a questi aspetti. Il diritto non è tutto, ma è una parte irrinunciabile, una dimensione del tutto. Non esiste un matrimonio senza normativa giuridica, che lo inserisce in un insieme globale di società e Chiesa. Se il riordinamento del diritto dopo il Concilio tocca anche l’ambito del matrimonio, allora questo non è tradimento del Concilio, ma esecuzione del suo compito.

Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte.

Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici, can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi. (3)

5. Molti affermano che l’atteggiamento della Chiesa nella questione dei fedeli divorziati risposati è unilateralmente normativo e non pastorale.

Una serie di obiezioni critiche contro la dottrina e la prassi della Chiesa concerne problemi di carattere pastorale. Si dice ad esempio che il linguaggio dei documenti ecclesiali sarebbe troppo legalistico, che la durezza della legge prevarrebbe sulla comprensione per situazioni umane drammatiche. L’uomo di oggi non potrebbe più comprendere tale linguaggio.Rogier Van der Weyden, «Il matrimonio» (1445) Gesù avrebbe avuto un orecchio disponibile per le necessità di tutti gli uomini, soprattutto per quelli al margine della società. La Chiesa al contrario si mostrerebbe piuttosto come un giudice, che esclude dai sacramenti e da certi incarichi pubblici persone ferite.

Si può senz’altro ammettere che le forme espressive del Magistero ecclesiale talvolta non appaiano proprio come facilmente comprensibili. Queste devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale. Il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata. Certamente è difficile rendere comprensibili all’uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo. Ma questa difficoltà pastorale non può condurre a compromessi con la verità. Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Veritatis splendor ha chiaramente respinto le soluzioni cosiddette «pastorali», che si pongono in contrasto con le dichiarazioni del Magistero (cfr. ibidem, 56).

Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità. Se in passato nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. «Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni, 8,32).

Note:

1 Cfr. Ángel Rodríguez Luño, L’epicheia nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati, in Sulla pastorale dei divorziati risposati, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998, («Documenti e Studi», 17), pp. 75-87; Piero Giorgio Marcuzzi, s.d.b., Applicazione di «aequitas et epikeia» ai contenuti della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre 1994, ibidem, pp. 88-98; Gilles Pelland, s. j., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati, ibidem, pp. 99-131.

2 A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica postsinodale Familiaris consortio, n. 84: «La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”». Cfr. anche Benedetto XVI, Lettera apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, n. 29.

3 Durante un incontro con il clero della diocesi di Aosta, svoltosi il 25 luglio 2005, Papa Benedetto XVI ha affermato in merito a questa difficile questione: «Particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito.

giovedì 3 ottobre 2013

Intervista di Franco Cardini al Festival Francescano: sui giovani, la fede, il pellegrinaggio e Papa Francesco

Un'interessante intervista di IcaroTV allo storico Franco Cardini nell'ambito del Festival Francescano della settimana scorsa. Parla del pellegrinaggio nel tempo della "fine della modernità" (della "modernità solida"). Nel tempo della perdita di tutti i punti di riferimento i giovani guardano al passato per ritrovare mete e cammini dimenticati. "Bisogna ripartire da zero", afferma Cardini, al di là dei miti del progresso e della tecnologia, che non saziano. E' finito il tempo di nascondersi e di non pensare: "nel passato c'è una cosa che campeggia: la Fede. Forse abbiamo messo un po' troppo presto in cantina i crocifissi" - dice Cardini - anche per colpa della Chiesa storica, che ha dato anche cattivi esempi, comunque c'è stata una eclissi del Cristianesimo, ma ora queste cose stanno riemergendo, finito il tempo delle "fedi civili" delle ideologie del '900. Ma la fede nell'individualismo e la sedentarietà del moderno che son rimaste non soddisfano. I giovani si rimettono in cammino e alla ricerca: Cardini cita il Cammino di Santiago (del quale è un frequentatore), e vi trova sempre più giovani a farne esperienza. E lì, magari per caso, i giovani incontrano un prete, un religioso e forse il Vangelo.
"Siamo in un momento di rinascita forte della Fede - spiega con entusiasmo lo storico fiorentino - e ha ragione il Papa attuale a presentarcela senza veli". Il Papa arriva al cuore delle cose: "La Chiesa è un'ospedale da campo... piena di peccatori e persone che soffrono e che comunque sono figure di Gesù Cristo". Ci vuole speranza per credere e camminare verso la meta - dice Cardini - "ma poi c'è la carità". La carità è la cosa fondamentale: non tanto arrivare alla meta, la meta riguarda Dio, ma aiutare il prossimo che ha bisogno di noi: questo è problema nostro.
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