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martedì 28 ottobre 2008

Bertone sull'ermeneutica della riforma nella continuità al convegno in corso al Seraphicum


28 ottobre 2008 - Del Concilio Vaticano II "occorre parlare per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo da interpretazioni tendenziose": lo ha affermato il segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, aprendo il convegno sul Concilio nel pontificato di Giovanni Paolo II, in corso da oggi presso la Pontificia Facoltà teologica San Bonaventura - Seraphicum, retta dai Frati Minori Conventuali. 
Un pontificato, ha sottolineato Bertone, che nella sua interezza "respira l'autentico spirito del Concilio". Si trattò, ha ricordato il cardinale, di un evento contrassegnato, secondo quanto sostenuto dallo stesso Giovanni Paolo II, "dalla trilogia Cristo-Chiesa-uomo" e al quale Karol Wojtyla contribuì sia da padre conciliare, sia, successivamente, da pontefice, in un "costante sforzo di attuare le conclusioni del Concilio in modo coerente, non solo secondo lo spirito ma anche nella lettera". "Dopo il Concilio - ha ricordato Bertone - si è sviluppato un fervido movimento nella Chiesa, con frutti positivi ma anche non poche esagerazioni preoccupanti". Il segretario di Stato non ne ha citato alcun esempio, ma si è rifatto al discorso che Benedetto XVI pronunciò nel dicembre 2005, poco dopo la sua elezione a Papa, a 40 anni dalla chiusura del Concilio. "In quell'occasione - ha ricordato - Benedetto XVI ha spiegato che tutto dipende da una giusta ermeneutica.
Citando a sua volta S.Basilio Magno dopo il Concilio di Nicea, che paragonava la discussione a una battaglia tra navi in tempesta", Benedetto XVI aveva osservato come il chiasso avesse "riempito tutta la Chiesa falsando per eccesso o per difetto la dottrina". Dal Concilio Vaticano II, ha proseguito Bertone citando Benedetto XVI, sono uscite due ermeneutiche: una della "discontinuità e rottura, che ha attratto la simpatia dei media"; l'altra "del rinnovamento nella continuità". "E' a quest'ultima - ha concluso Bertone - che occorre tener fede, sulla traccia di quanto affermato da Giovanni XXIII in apertura del Concilio e da Paolo VI in chiusura dell'evento, come ha fatto Giovanni Paolo II nel corso di tutto il suo pontificato".
La "preoccupazione" di Giovanni Paolo II è stata sempre quella di "salvaguardare l'intenzione genuina dei padri conciliari, superando interpretazioni prevenute e parziali" che in alcuni ambienti "impedirono di esprimere al meglio la novità" del processo conciliare. 
Per papa Wojtyla, ha proseguito il porporato, "il Concilio fu una vera sfida anzitutto per i padri conciliari", da loro raccolta e concretizzata attraverso "l'impegno di comprendere in maniera più approfondita la natura della Chiesa e il suo rapporto con il mondo", in modo da "prevedere un opportuno aggiornamento". Secondo Bertone, per Giovanni Paolo II "il Concilio fu il Concilio della Chiesa, di Cristo e dell'uomo: parlare di Gesù è parlare della Chiesa, e quindi dell'uomo". "Non si può ridurre la Chiesa - ha fatto notare il segretario di Stato vaticano - a categorie che non abbiano a che fare con la nostra storia personale e comunitaria". Secondo Giovanni Paolo II, ha concluso il relatore, "i documenti conciliari non segnarono una rottura con il passato, ma furono un invito a tradurre il Vangelo in un modo comprensibile all'uomo contemporaneo"

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