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lunedì 15 dicembre 2008

La predicazione secondo l'esempio del Card. Siri

Un pezzo di Paolo Rodari dal suo blog Palazzo apostolico sulla presentazione dell'antologia delle omelie del Card. Siri "Omelie per l'anno liturgico"

In anni difficilissimi per la Chiesa, quelli del post Concilio Vaticano II, anni in cui scuole teologiche e svariati pastori nel nome di un’inusitata apertura al mondo presero strade impervie ed errate, brillò la luce del cardinale arcivescovo di Genova, nonché presidente della conferenza episcopale italiana, Giuseppe Siri. Una stella oggi ancora attuale tanto che, proprio ieri, è avvenuta la presentazione romana di un libro che raccoglie alcuni scritti inediti del porporato. Una presentazione a cui ha voluto partecipare, assieme a parecchi monsignori di curia romana, la créme della segreteria di Stato vaticana, dal responsabile dei rapporti con gli Stati monsignor Dominique Mamberti in giù. Tutti riuniti nella chiesa di San Benedetto in Piscinula per parlare del volume “Omelie per l’anno liturgico” (Fede e Cultura). Testi inediti e attuali soprattutto oggi, laddove la Chiesa è ancora chiamata a lavorare su se stessa e, in particolare, su quella interpretazione dei lavori conciliari che tanto fa parlare di sé. Se il Concilio Vaticano II fu rottura col passato la direzione che la Chiesa è chiamata a prendere è una, se il Concilio fu rinnovamento nella continuità (è l’esegesi ratzingeriana) la direzione è, all’opposto, un’altra.
La scelta della chiesa di San Benedetto non è stata a caso. Qui San Benedetto da Norcia soggiornò prima di partire per Subiaco. Qui comprese il significato profondo della propria vocazione: stare con Dio per arrivare a tutti gli uomini. Stare, dunque, e non cercare affannosamente la misura del mondo per essere più vicini al mondo. A conti fatti, se San Benedetto fosse vissuto oggi, avrebbe interpretato il Vaticano II in sintonia con l’esegesi di Benedetto XVI.
Fu anche dal San Benedetto conosciuto meglio grazie all’amicizia col cardinale Ildefonso Shuster coltivata negli anni di preparazione al sacerdozio, che Siri imparò «l’essenzialità e il rigore» nel pronunciare le proprie omelie. Sono parole dette ieri da monsignor Massimo Camisasca, superiore generale della Fraternità San Carlo, il quale ha spiegato come Siri, imitando i benedettini, faceva soprattutto una cosa: cercava Dio. Non andava in cerca delle mode del momento, non cercava di accattivare i fedeli con aperture improbabili. Anzi, egli, da protagonista dei tumultuosi anni Settanta che per la Chiesa significarono il primo tempo del post Concilio, «avvertì la posta in gioco nella battaglia e non si risparmiò». Egli, lo si evince bene dai testi presentati nel volume, «affermò il primato della verità». Sapeva bene, infatti, che perché qualcosa cambi occorre che il centro stia fermo. Perché si possa andare verso la gente, verso il popolo occorre che il sacerdote e la Chiesa «abbiano un senso vivo, concreto, della propria dignità, che viene dai doni santi loro affidati».
Siri di fronte alle sfide di una società post-moderna relativista e nichilista parlava del pericolo per il cristianesimo di ridursi a una devozione senza ragioni e per la Chiesa di rischiare di non essere più credibile di fronte alle sfide di una società post-moderna relativista e nichilista. Un Siri, questo, ben sviscerato ieri anche dal maestro delle cerimonie papali, monsignor Guido Marini. Questi, genovese, fu discepolo spirituale di Siri: «Un grande uomo - ha detto - perché tale davanti a Dio e non davanti al mondo».
Siri nei conclavi a cui aveva partecipato rischiò di diventare Papa. Non è un mistero. C’è chi sostiene addirittura che venne eletto ma che poi, a motivo della protesta di diversi cardinali “riformatori”, rifiutò. Le pagine più dense di quegli anni le ha scritte senz’altro Benny Lai in più libri. Benny Lai ha mirabilmente spiegato chi fosse il cardinal Siri: un vescovo che ebbe, verso il Concilio Vaticano II, lo stesso atteggiamento del giovanissimo perito conciliare Joseph Ratzinger il quale, di fronte alle fughe in avanti di chi voleva sganciare completamente la Chiesa dalla tradizione, in un attimo da progressista divenne conservatore.

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