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lunedì 19 gennaio 2009

A proposito dell'unità dei cristiani: la concelebrazione di sacerdoti di diverse chiese cattoliche "sui iuris"

Basilica del Santo, Padova, il p. rettore con un vescovo ucraino greco cattolico
In questa settimana (18-25 gennaio) preghiamo per l'unità dei cristiani.  La prima unità che dobbiamo invocare è quella tra le diverse chiese che compongono la comunione cattolica. Oltre alla chiesa latina, infatti, esistono altre 20 chiese orientali cattoliche, di diversa origine, tradizione, e numero di fedeli, che tutte insieme formano l'unica santa Chiesa Cattolica diffusa su tutta la terra.

In questo contesto, visto che la mobilità umana è ormai un dato acquisito, e spessissimo sacerdoti di varie chiese cattoliche si incotrano, vuoi per pellegrinaggi, vuoi per studio, vuoi per congressi, desidero dare un'occhiata alle norme per la concelebrazione di sacerdoti di diverse chiese cattoliche. E' ovvio che non parlo della concelebrazione di sacerdoti di diverse confessioni cristiane non in piena comunione tra loro, ma di quelle chiese che nei codici legislativi vengono denominate "chiese sui iuris".

Il Codice di Diritto Canonico della Chiesa latina, naturalmente, ignora questa circostanza. Non così il più recente Codice dei canoni delle Chiese Orientali, nei canoni dedicati alla Divina Eucaristia.

L'Istruzione per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del codice dei canoni delle chiese orientali emanata nel 1996 dalla Congregazione per le Chiese Orientali, così spiega:
Il can. 700 § 2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali raccomanda la concelebrazione insieme al Vescovo oppure con un altro sacerdote "perchè si manifesti opportunamente l'unità del sacerdozio e del sacrificio". Molti testi conciliari sottolineano che, così facendo, si manifesta l'unità di tutta la Chiesa. Si tratta dunque di un uso molto espressivo...
Il can. 701 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali stabilisce la modalità secondo la quale si deve svolgere una concelebrazione tra Vescovi e presbiteri di diverse Chiese sui iuris. Viene ribadita a riguardo la raccomandazione di evitare qualsiasi sincretismo liturgico e di conservare le vesti liturgiche e le insegne della propria Chiesa sui iuris. Si tratta di un modo molto eloquente di evidenziare la varietà delle tradizioni ecclesiali e il loro confluire nell'unità della Chiesa. E' questo un simbolo significativo della futura unità nella pluriformità e uno strumento per tutelare le Chiese orientali e la loro specificità contro ogni assimilazione, soprattutto laddove esse siano in minoranza.
Cari confratelli, soprattutto voi che vivete in grandi santuari o nelle chiese di Roma e di altri capoluoghi, quando vengono per concelebrare dei sacerdoti orientali, sia bizantini che malabaresi dell'India (i casi più frequenti) sia di altre tradizioni (armena, caldea, malankarese, copta...), non latinizzateli, anzi, invitateli a vestire i paramenti delle proprie chiese, per manifestare nell'unica concelebrazione la varietà riconciliata delle tradizioni.
Se infatti le altre chiese e comunità ecclesiali non godono ancora dell'unità cattolica, tutti i cristiani, di ogni rito o chiesa che già fanno parte dell'una santa devono con forza manifestare l'unità di cui già fruiscono, ma manifestarla - in modo del tutto privilegiato - nella comune celebrazione dell'eucaristia in cui ognuno rimane se stesso, anche nel vestire, pur potendo pregare con i testi liturgici dell'altro. Una comunione pluriforme e variopinta, che non omologa nessuno ma riconcilia le diversità-
Nessuna chiesa, per potenza numerica o per diffusione, deve vantarsi sulle altre, soprattutto noi latini dobbiamo "abbassare la cresta": non siamo l'unica chiesa cattolica! Assaporiamo invece la ricchezza teologica, liturgica e spirituale delle tradizioni orientali che sentono spesso più viva, e con accenti meno intorbiditi di noi, la voce stessa degli apostoli.

Leggete in questi giorni la bella istruzione citata sopra. Cercheremo di approfondirla in questo ottavario di preghiera per l'unità dei Cristiani.
 

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