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mercoledì 4 febbraio 2009

Quale lingua usare nella celebrazione della Messa postconciliare?


Possono esserci al riguardo opinioni diverse per sensibilità pastorali e locali da tenere in ovvia considerazione. Dispiace, invece, che molte volte le prese di posizione sull'argomento "lingua nella liturgia" non vengano basate su un sano discernimento, alla luce dei documenti della chiesa, e provengano piuttosto da quella forma di dittatura per cui «ormai si fa così» che ha sostituito la precedente dittatura del «si è sempre fatto così». Né l’una, né l’altra paiono buone soluzioni, perché entrambe sono sclerotizzazioni di chi non vuole riconoscere i preziosi valori «vecchi e nuovi» che il saggio scriba del Regno deve trarre dal suo tesoro.
A questa domanda dunque – cioè quale lingua usare nelle azioni liturgiche –, che a molti lettori parrà peregrina, risponde con solerzia una importante (quanto obliata) istruzione postconciliare del 1967 sull’attuazione della riforma liturgia, il cui titolo è Musicam Sacram (perché si occupa principalmente  della musica e del testo ad essa connesso). Questa istruzione è tuttora in vigore, nonostante sia, come tanti documenti, costantemente ignorata e disattesa. E dire che l’ignoranza della legge non scuserebbe l’inosservanza…
Nel cap. VI di detta istruzione, autorevole ermeneutica di Sacrosanctum Concilium, si parla abbondantemente della scelta della lingua nella celebrazione liturgica, non solo nell’ottica del legame lingua-musica, ma in senso più generale e fondando le prescrizioni normative sulla volontà del Concilio Vaticano II (all’epoca appena concluso). Ecco i paragrafi salienti con in rosso i miei commenti


47. A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, venga conservato nei riti latini» [SC 36 § 1]. Dato però che «non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire di grande utilità per il popolo» [SC 36 § 2], «spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, decidere circa l’adozione e la misura della lingua volgare. Tali decisioni devono essere approvate o ratificate dalla Sede Apostolica» [SC 36 § 3]. [Qui si dice: è chiaro che il Concilio Vaticano II vuole conservare l’unità linguistica della Chiesa, ma per utilità pastorale permette, sotto vigilanza della Santa Sede l’adozione della lingua viva e la quantità di essa nelle celebrazioni (la misura)].
Perciò, nel pieno rispetto di queste norme, si sceglierà la forma di partecipazione che meglio risponde alle possibilità di ciascuna assemblea. [Pastoralmente è bene usare la lingua parlata…]
Curino i pastori d’anime che, oltre che in lingua volgare, «i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti che loro spettano dell’Ordinario della Messa» [SC 54; Int Oec. 59]. [ma non si deve perdere, anzi incrementare, la conoscenza dell’unica lingua liturgica dell’unica chiesa latina]

48. Là dove è stato introdotto l’uso della lingua volgare nella celebrazione della Messa, gli Ordinari del luogo giudichino dell’opportunità di conservare una o più Messe in lingua latina, specialmente in canto, in alcune chiese, soprattutto delle grandi città, ove più numerosi vengono a trovarsi fedeli di diverse lingue. [Chiarissima indicazione, disattesa anche nei grandi santuari meta di pellegrinaggi da ogni dove. E dire che la globalizzazione ha cambiato il mondo: ma non le visioni localistiche di molti preti.]

49. Circa l’uso della lingua latina o volgare nelle sacre celebrazioni nei seminari, si osservino le norme date dalla Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi sulla formazione liturgica dei chierici. [Come dire: cari chierici e futuri preti, per voi non vale l’indulgenza pastorale. Voi il latino lo dovete sapere non solo per “rispondere messa”, ma per celebrarla.]
I membri degli istituti che professano i consigli evangelici osservino su questo punto quanto è stato stabilito nella Lettera Apostolica Sacrificium Laudis del 15 agosto 1966, e nella Istruzione sulla lingua da usarsi nell’Ufficio divino e nella Messa conventuale o di comunità presso i religiosi, emanata da questa Sacra Congregazione dei Riti il 23 novembre 1965.

50. Nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina:
a) Al canto gregoriano, come canto proprio della liturgia romana, si riservi, a parità di condizioni, il primo posto [Cfr. SC 116]. Le melodie esistenti nelle edizioni tipiche si usino nel modo più opportuno. [E i monaci di Solesmes hanno fatto con solerzia i loro compiti a casa.]
b) «Conviene inoltre che si prepari un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori» [SC 117]. [Ne nacque il Graduale Simplex, il libro più sconosciuto della riforma liturgica del Vaticano II]
c) Le composizioni musicali di altro genere, a una o più voci, appartenenti al patrimonio tradizionale, o contemporanee, siano tenute in onore, si incrementino e si eseguano secondo la possibilità [Cfr. SC 116].

51. Inoltre, tenendo presenti le condizioni dell’ambiente, l’utilità pastorale dei fedeli e la natura di ogni lingua, vedano i pastori di anime se — oltre che nelle azioni liturgiche celebrate in latino — parti del patrimonio di musica sacra, composta nei secoli precedenti per testi in lingua latina, possano usarsi anche nelle celebrazioni fatte in lingua volgare. Niente infatti impedisce che in una stessa celebrazione si cantino alcune parti in un’altra lingua. [Perché rinunciare ai bei canti che tutti conoscono? Si chiede l’istruzione. Non c’è problema a cantare in latino durante una messa in italiano: il papa dà l’esempio.]

52.  Per conservare il patrimonio della musica sacra e per favorire debitamente le nuove forme del canto sacro, «si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e nei loro studentati, come pure negli istituti e scuole cattoliche in genere», specialmente presso gli Istituti superiori creati a questo scopo [SC 115]. Si incrementi prima di tutto lo studio e l’uso del canto gregoriano che, per le sue caratteristiche, è una base importante nella educazione alla musica sacra. [Sento molti seminaristi sospirare e pensare: ci piacerebbe, ma da noi ci sono divieti superiori…]


Questa Istruzione è stata approvata dal Santo Padre Paolo VI, nell’udienza concessa a Sua Eminenza il Cardinale Arcadio M. Larraona, Prefetto di questa Sacra Congregazione, il 9 febbraio 1967. Il Santo Padre l’ha pure confermata con la sua autorità, ed ha ordinato che fosse pubblicata, fissandone l’entrata in vigore per il giorno 14 maggio 1967, domenica di Pentecoste. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario. 
  
Roma, 5 marzo 1967, domenica «Laetare», quarta di Quaresima.

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