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lunedì 24 agosto 2009

Musiche in chiesa: qualcosa si muove anche in Italia

Riprendo dal Blog di Raffaella e posto qui con compiacimento:

Musiche in chiesa, scattano le nuove direttive del Papa colonne sonore al setaccio

Genova città laboratorio per valutare i brani da eseguire a messa


di Bruno Viani

IL CARDINALE Angelo Bagnasco presidente dei vescovi italiani, ha costituito nell'arcidiocesi genovese una commissione «per l'orientamento e la formazione degli operatori musicali» che oggi - nel cuore dell'estate - sta muovendo i primi passi.
I componenti sono i tre maestri della Cappella musicale di San Lorenzo e due sacerdoti d'esperienza, il vicario episcopale per il Culto Divino - monsignor Ruggero Dalla Mutta - e il direttore dell'istituto diocesano di musica sacra di Genova, don Piero Milanesi.
E dietro all'apparenza di un pool di esperti destinato a lavorare nell'ombra per addetti ai lavori, si nasconde invece una svolta. Ovvero, la decisione - seguendo le indicazioni di Papa Ratzinger - di mettere ordine nelle colonne sonore delle celebrazioni, oggi in gran parte affidate all'estro dei parroci.
È un confronto che si apre tra tante anime, come si è visto al funerale di Fernanda Pivano: prima di tutto tra il mondo laico - con le sue richieste di libertà - e il mondo cattolico che rivendica il diritto, all'interno delle sue celebrazioni, di non accogliere composizioni ritenute "fuori posto".
Ma il confronto si può allargare all'infinito: può diventare - a un primo sguardo - contrapposizione tra la Chiesa di Giovanni Paolo e quella di Papa Ratzinger, tra (più o meno severi) tutori dell'ortodossia e parroci innamorati di chitarre e battimani. La colonna sonora delle celebrazioni, infatti, non è un elemento secondario: anche i grandi scismi sono stati segnati da musiche e autori che ne hanno tradotto l'anima in note.
Arrivando a oggi: passato progressista contro presente restauratore?
«È vero che ogni Papa, così come ogni sacerdote, ha la sua personalità - risponde monsignor Ruggero Dalla Mutta, vicario dell'arcivescovo per le celebrazioni liturgiche a Genova - ma certamente già Giovanni Paolo II, negli ultimi anni, aveva deciso di mettere ordine per evitare l'esecuzione di brani da lui definiti "sciatti". A Papa Wojtyla si deve anche un celebre testo scritto per denunciare un lungo elenco di abusi liturgici in tutti i campi, la "Redentionis Sacramentum" del 2004».
Come dire: se Ratzinger ha reintrodotto la possibilità delle celebrazioni secondo il rituale in latino, la svolta per i riti ordinari era stata voluta già dal Papa globtrotter, modernissimo per tanti aspetti, eppure per nulla disposto a lasciare alle scelte dei singoli preti la solennità delle messe.
Genova - dove è nato e si è formato monsignor Guido Marini, oggi maestro delle cerimonie del pontefice - diventa così , nei fatti, un laboratorio nazionale. E la commissione di «orientamento e formazione» voluta dal cardinale Bagnasco si trasforma in uno spazio di elaborazione per gli input che partono dal Vaticano. «La liturgia è come lo spartito per un organista - riprende Dalla Mutta - ognuno ci mette la propria anima e dà una interpretazione, è giusto e necessario che sia così, ma guai se il musicista cambiasse le note».
E la liturgia cattolica è fatta anche di formulari cadenzati da musiche e canti liturgici. «Molti parroci in realtà fanno ciò che vogliono, ma esistono delle regole e dei repertori precisi ai quali attingere». In chiesa si possono anche tenere concerti, ma le regole della CEI dicono che si possono eseguire solo brani liturgici o di ispirazione religiosa. E durante le celebrazioni le regole sono più severe.
«La musica e il canto liturgico nascono dalla preghiera, devono portare alla preghiera e sono essi stessi preghiera - dice monsignor Guido Marini, cerimoniere del Papa - questo è lo spirito alla base delle scelte. Il canto proprio della liturgia cattolica è il gregoriano, ma esiste anche una polifonia sacra, pienamente ammessa, e un repertorio più popolare che ha diritto di cittadinanza nell'ambiente liturgico ma deve avere caratteristiche di religiosità nelle musiche e nei testi».
Come dire: un conto è una messa e un conto è un concerto, non è questione di valori ma di peculiarità e di sostanza.
Resta la zona più indefinita della musica popolare e dei criteri per stabilire l'ammissione o la bocciatura senza appello, almeno per quello che riguarda l'esecuzione in chiesa.
«Il repertorio è in aggiornamento continuo - riprende monsignor Dalla Mutta - ogni nuovo brano per essere ammesso deve passare attraverso un esame della Conferenza episcopale italiano, noi a Genova abbiano adottato lo stesso repertorio che è in uso nell'arcidiocesi di Torino».

© Copyright Il Secolo XIX, 23 agosto 2009

3 commenti:

Mauro ha detto...

Proprio ieri pensavo che uno dei problemi della musica liturgica è considerarla la colonna sonora della messa. Guardacaso oggi Bruno Viani la definisce così nel suo articolo.

Come accade al cinema, una colonna sonora viene eseguita sul fondo per riempire i silenzi, suscitare e dirigere le emozioni, ed il fedele non fa altro che assistere ad uno spettacolo che, almeno si spera, dovrebbe intenerire il suo cuore. L'assemblea, del resto, è abituata a ragionare con queste categorie dopo anni e anni di cinema e TV, e ci sta volentieri. E quindi, se lo spettacolo non piace, perché andarci?

Penso che la partecipazione attiva al mistero sia una cosa diversa: dovrebbe essere preghiera, sorgente di salvezza, trasformazione di corpo, anima e spirito che si prepara ad accogliere (ed accoglie) la stessa Vita che si dona in sacrificio. Insomma, lo si dice spesso: non spettacolo a cui assistere da spettatori, ma realtà di vita di cui essere protagonisti.

Allora la musica è qualcosa di inaudito per le orecchie più moderne: è una parte visibile di questa trasformazione, della salvezza, che passa anche attraverso il corpo, con la voce, la respirazione, le orecchie, che si elevano a Dio con il canto (eseguito ed ascoltato), che è la forma più alta di parola.

La scelta di una musica piuttosto che un'altra non è più un'esigenza di spettacolo (e di audience), ma ricerca del modo migliore per vivere il sacrificio, che, sia chiaro, avviene in ogni caso.

Perché allora parlare di "colonna sonora delle celebrazioni"?

A.R. ha detto...

Perché allora parlare di "colonna sonora delle celebrazioni"?

Perché, caro amico, i giornalisti non sono teologi, devono dare le notizie in modo che il caposervizio e/o il direttore gliele faccia passare come "INTERESSANTI", accattivanti, degne di finire in pagina. Non guardare al modo di scrivere, renditi conto della sostanza della notizia data. Si comincia piano piano a mettere in pratica proprio quello che hai espresso nel tuo commento, superando la spettacolarizzazione ad oltranza.
Ringraziamo il giornalista per il suo servizio e perdoniamogli le parole imprecise.

Mauro ha detto...

Assolutamente, per la sostanza dell'articolo c'è da ringraziare: i contenuti non fanno una piega, e anzi sono una buona notizia. Insomma, ho dimenticato di scriverlo, ma Bruno Viani era già perdonato.

Ho voluto solo aggrapparmi ad un'espressione su cui avevo riflettuto proprio ieri! Più che all'articolo de Il Secolo XIX, pensavo alla celebrazione che avevo vissuto ieri...

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