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martedì 22 settembre 2009

In Corea Messa (di Paolo VI) in latino.

Attraverso il blog Totus tuus apprendiamo che anche in Corea del Sud, dal 14 aprile 2008, si celebra regolarmente e in una parrocchia la Messa in latino. No, non quella dei "tradizionalisti", quella di Paolo VI! Il sacerdote si chiama p. Tommaso d'Aquino Woong-Yeol Kim, della chiesa Gam-Gok nella diocesi di Cheong-Ju. P. Tommaso ha iniziato a celebrare "rivolto al Signore" spinto dall'esempio di Papa Benedetto. E ha trovato un riscontro positivo tra i suoi fedeli, continuando così, incoraggiato, a celebrare la messa "nuova" con devozione e attenzione.
Pensate ad un povero sacerdote come me che si trovasse in Corea per visitare i suoi confratelli missionari laggiù. Non può certo concelebrare in Coreano! C'è solo l'alternativa: o partecipa alla messa senza celebrare, oppure celebra privatamente nella sua lingua. Ma se c'è una messa in latino, perchè non concelebrare, significando l'unità del sacerdozio al di là delle barriere linguistiche ed etniche? Pensate a un povero lavoratore cattolico italiano che deve stare in Corea per vari mesi all'anno. Trovandosi nei pressi della parrocchia di Gam-Gok, può partecipare a questa messa e sentirsi un po' più "a casa" e "meno estraniato". Naturalmente se anche nella sua parrocchia d'origine, almeno una volta al mese, c'è la celebrazione postconciliare in latino, di cui il nostro lavoratore cattolico conosce ormai le risposte e le preghiere (proprio come chiedeva il Sacrosanto Concilio).
La Messa infatti, non è "cosa propria" di una comunità. E' la santa sinassi di tutti i battezzati cattolici della stessa chiesa, senza distinzione di razza, lingua, e nazionalità. La messa celebrata in latino, benchè forse all'inizio più faticosa, è certamente più universale e accogliente. Soprattutto se affiancata alla celebrazione abituale-locale nella lingua vernacola. Il mutuo arricchimento è evidente e incontestabile.
A proposito, poi, della difficoltà linguistica. Ascoltate il video (qua sotto) della celebrazione coreana (preso da qui): sentite come il popolo risponde bene? Non è una comunità religiosa, è gente di parrocchia, catechizzata e ben preparata dal suo parroco.
L'orientamento del sacerdote, la comunione in ginocchio e il resto della simbologia, non è questione di pre o post Concilio, ma solo di seguire le rubriche del Messale attuale e applicare le possibili "varianti" che permettono senza problemi anche queste soluzioni, nient'affatto eliminate dalla riforma liturgica.


attenzione il video ha un caricamento molto lento per chi non è in ...Korea!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per la segnalazione. Mi permetta però di aggiungere che quello della lingua nella quale si celebra non è il problema principale. Il celebre Breve esame critico del Novus Ordo Missae, presentato a Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci era stato condotto sul testo latino del nuovo messale, prima che questo venisse adottato per le celebrazione ordinaria della Santa Messa. Il problema sta nei tagli e nelle modifiche che il NOM presenta rispetto al VOM, tagli e modifiche che hanno attenuato (per non dire quasi del tutto cancellato) il carattere sacrificale della Messa.

Don Massimo ha detto...

Caro Emanuele, non per niente siamo arrivati alla terza edizione del Messale di Paolo VI. La "Missa normativa" presentata al tempo di Bacci e Ottaviani non è quella che troviamo oggi nel Messale III editio Typica, sia per le rubriche, sia per le integrazioni volute (alcune) fin da subito da Paolo VI, e altre via via aggiunte dai successori. E il cammino non è concluso.
Se lei si riferisce alle preghiere di offertorio possiamo trovare un certo accordo, ma per quello che riguarda altri testi, nell'originale latino, non è tanto la visione sacrificale ad essere meno presente (come dimostrano analisi lessicali incrociate), quanto piuttosto le realtà del peccato originale, della grazia e della presenza del Maligno che pur non scomparendo, sono state molto attenuate.
Se leggiamo nell'originale latino la III prece eucaristica, che non esisteva ancora al tempo dell'esame critico, non penso si possa dubitare sensatamente delle affermazioni sacrificali in essa chiarissime. Discorso diverso - concordo - quello delle traduzioni vernacole. Lì si è perpetrato lo scempio teologico con la scusa dell'interpretazione. E qui mi fermo.

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