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mercoledì 18 marzo 2009

Il Papa: San Giuseppe modello di castità, povertà, obbedienza

Celebrazione dei Primi Vespri di San Giuseppe nella Basilica Marie Reine des Apôtres nel quartiere di Mvolyé a Yaoundé - Discorso del Santo Padre (18 marzo 2009)

Un'omelia incentrata sulla figura di San Giuseppe come icona del consacrato (religioso e religiosa) e soprattutto del sacerdote. San Giuseppe viene presentato dal Papa come modello di obbedienza e affidamento alla Parola di Dio, modello di castità: pur non essendo il "padre biologico" di Gesù, non è stata per questo sminuita la sua paternità, e questo vale anche per i sacerdoti che devono riconfermare la loro paternità nel celibato. Giuseppe è anche modello di Povertà, è colui che pur posto in alto e in autorità, sa che Gesù è più ricco di lui e superiore, per questo lo serve. Tutto votato a Cristo, Giuseppe non cerca altra ricchezza che quella che ha già dentro la sua casa.

E' evidente l'insistenza del Papa sui temi "caldi" e "cari" alla Chiesa in Africa, che trova tanta fatica ad "inculturare" in sè i consigli evangelici dell'obbedienza senza autoritarismo, della castità vissuta serenamente e della povertà non vista come biblica maledizione, ma scelta volontaria.
Il rimando a Gesù, che i consacrati seguono e imitano, è un richiamo forte a riprodurne le sembianze visibilmente, ripercorrendo la via tracciata con la vita dal Maestro.
Qualche commentino in rosso e in nero le sottolineature mie.

Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,
cari Sacerdoti e Diaconi,
cari fratelli e sorelle consacrati,
cari amici membri delle altre Confessioni cristiane,
cari fratelli e sorelle!

Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo questa sera la nostra lode al Padre della luce.

Alla presenza dei rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto, vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina. Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: “Uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore “del mondo visibile ed invisibile”. E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale.

Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: “Servite il Signore che è Cristo!” (Col 3,24).

Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore “fedele e saggio”. L’abbinamento dei due aggettivi non è casuale: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida.

Cari fratelli sacerdoti, questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti “abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento” (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv 15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti.

Celebrando questo sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. “Chi governa sia come colui che serve” (Lc 22,26), dice Gesù.[bello questo passaggio: il sacerdote che sa lasciare spazio a Cristo. Chiaro riferimento alla Liturgia in cui il prete non sia protagonista, ma solo servo, anche se posto "davanti"]

Ed Origene scriveva: “Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe” (Omelia su san Luca XX,5, S.C. p. 287).

Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un “sì” generoso a Cristo!

Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico.

San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei.

Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!

Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85). Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni. [Il problema culturale, prima ancora che pratico, del valore della castità e del senso del celibato nell'Africa subsahariana non è ancora positivamente risolto. Il Papa lo fa capire senza mezzi termini.]

La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo [icastica definizione!]E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità [stupendo: il vostro fare NON NASCONDA il vostro essere. Come dire: occupatevi prima del Regno, tutto il resto vi sarà dato in aggiunta. Ancora un'attacco papale all'efficientismo dei religiosi].Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come “il missionario dai piedi nudi” ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata, avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena del servizio materiale dei suoi fratelli. Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato.

Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza [Il Mistero di Dio girava a gattoni per la casa di Giuseppe]In lui non c’è separazione tra fede e azione.

La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un “uomo giusto” (Mt 1,19) perché la sua esistenza è “aggiustata” sulla parola di Dio.

La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa [Obbedienza, obbedienza, obbedienza: segno distintivo, che parla forte (eloquente) di chi è unito alla Chiesa]. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’.

Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui.

E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare e apprendere “la fede e la verità” nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo [Come si raggiunge l'ecumenica unità? Per Benedetto XVI è chiaro: con la fede e la verità].

Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san Giuseppe, la Vergine Maria, “Regina degli Apostoli”, perché questo è il titolo con il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"Il Mistero di Dio girava a gattoni per la casa di Giuseppe"

E qui ci scappa il complimento per la tenera immagine che ci suggerisce. Gesù bambino che gattona per la casa e Giuseppe che lo ammira.

Mi è rimbalzata in mente la scena del film "Il Vangelo secondo Matteo", i cui Gesù goica nella polvere e Giuseppe lo ammira e poi con un sorriso e con una espressione incantata gli porge le braccia e lo solleva abbracciandolo. L'emblema della casttà, della povertà è dell'obbedienza. Cioè di quanto l'amore può racchiudere in se.

L'affezionato anonimo.

A.R. ha detto...

Do a Cesare quel che è di Cesare: non è una frase del tutto mia, è un'eco che mi frulla in mente, ma non ricordo proprio da chi l'ho pescata. Potrebbe essere Don Tonino Bello, ma proprio non mi ricordo.

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