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sabato 25 aprile 2009

In aeternum cantabo: dimmi come celebri e capirò la tua ecclesiologia

Non ho resistito alla tentazione di tradurre e postare in italiano questo splendido contributo di padre Mark (apparso sul suo blog Vultus Christi) a proposito delle salutari discussioni e approfondimenti -che si protraggono da tempo- sul canto della Messa. Come possiamo leggere dovunque nei documenti ufficiali, è ora di tornare a cantare LA messa, non cantare qualcosa, qualsiasi cosa, durante la messa. Speriamo che articoli precisi e documentati, ma semplici come questo di padre Mark, convincano i più riottosi e attaccati alla tradizione degli ultimi 40 anni a rinunciare alle loro anticonciliari modalità musicali, per rientrare nell’alveo che il Concilio Vaticano II non ha mai voluto lasciare.
Ex Oriente Lux
Ho avuto il privilegio, durante la scorsa Settimana Santa, di predicare tre volte nella Parrocchia Maronita di Tulsa dedicata a Santa Teresa. Il Venerdì Santo la liturgia della Sepoltura del Signore, con la sua processione e venerazione dell’immagine del corpo di Cristo sul sudario, è stato un momento di profonda commozione. Un’occasione unica per esser testimone della ricchezza di una tradizione continua, senza interruzioni, di canto liturgico. Diversamente dai cattolici di rito latino, i Maroniti non hanno sofferto alcuna frattura nelle loro tradizioni musicali; cantano oggi proprio gli stessi canti che i loro padri e madri nella fede cantavano un migliaio di anni fa. Li conoscono a memoria. La gente canta come si è sempre cantato, e i canti propri della loro splendida tradizione continuano ad essere tramandati, nel linguaggio originale, da una generazione all’altra.
L’esperienza alla parrocchia di Santa Teresa mi ha spinto a riflettere sulla situazione così in contrasto delle chiese cattoliche di rito Latino. Nella gran parte delle parrocchie, la frattura della continuità organica con il passato continua ad avere terribili conseguenze. Una mai finita e stancante re-invenzione liturgica - ispirata più spesso che no a principi altri rispetto a quelli stabiliti dai documenti ufficiali della Chiesa – continua a smantellare e a riassemblare la liturgia ancora e ancora, in un vano tentativo di imbroccarla giusta.
Un esempio
Un solo notevole esempio: l’omissione di quel prezioso gioiello del Rito Romano che è la solenne intonazione del Grande Alleluia della Veglia di Pasqua. Si noti che il Grande Alleluia pasquale è prescritto (non semplicemente suggerito!) nel num. 352 del Caeremoniale Episcoporum vigente. Ma in quante Chiese degli Stati Uniti (e altrove) abbiamo invece sentito un’altra musica, scelta arbitrariamente, per l’Alleluia della Veglia Pasquale?
La prima ed indispensabile fonte da cui attingere lo spirito Cristiano
Nel 1903, in termini che sarebbero poi stati ripresi e ampliati dal Concilio Vaticano II, Papa San Pio X definì l’ “attiva partecipazione ai sacrosanti misteri e alla preghiera solenne e pubblica della chiesa…la prima e indispensabile sorgente dello spirito cristiano”. Sentir il Papa affermare che l’attiva partecipazione alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa è la prima e indispensabile sorgente dello spirito cristiano, fece saltare di gioia i pionieri del Movimento liturgico classico del secolo scorso.
Cantare in alternanza con il clero o con il coro
Nel 1928, 25 anni dopo il Moto Proprio di San Pio X, il suo successore, Pio XI, ingiunse: “Affinché i fedeli partecipino più attivamente al culto divino, il canto gregoriano — per quanto spetta al popolo — sia restituito all’uso del popolo… in modo da alternare, secondo le dovute norme, la loro voce a quelle del sacerdote e della scuola”,
Dalla Divini Cultus di Pio XI emergono poi altri punti interessanti e piuttosto rilevanti:
«I. Tutti coloro che si avviano al sacerdozio, non solo nei Seminari, ma anche nelle case religiose, siano istruiti nel canto gregoriano e nella musica sacra fin dall’adolescenza, poiché più facilmente in tale età potranno apprendere tutto ciò che riguarda il canto e il suono; così pure riuscirà loro più agevole eliminare o modificare difetti naturali, se per caso ne avessero, ed ai quali sarebbe impossibile rimediare poi in età più adulta. Iniziandosi così l’insegnamento del canto e della musica fin dalle classi elementari, e proseguendo nel ginnasio e nel liceo, i futuri sacerdoti, già divenuti, senza fatica e difficoltà, esperti del canto, potranno ricevere quella cultura superiore che si può ben dire l’estetica della monodìa gregoriana e dell’arte musicale, della polifonìa e dell’organo, scienza che è quanto mai opportuno che il clero possegga:
II. Nei Seminari pertanto,e negli altri Istituti di studio, vi sia una breve ma frequente, pressoché quotidiana, lezione o esercitazione di canto gregoriano e di musica sacra; se questa sarà impartita con spirito veramente liturgico, riuscirà piuttosto di sollievo che di peso per gli animi degli alunni dopo le faticose ore di altri severi insegnamenti. Conseguentemente, una più completa e perfetta educazione liturgico-musicale del clero varrà senza dubbio a far ritornare all’antica dignità e splendore l’ufficiatura corale, che è parte precipua nel culto divino; e così pure riuscirà a ridare alle scuole e alle cappelle musicali la primitiva gloria.
III. Tutti coloro che sono a capo delle basiliche, delle chiese cattedrali, collegiate e conventuali religiose devono rivolgere ogni loro sforzo affinché sia restaurata l’ufficiatura corale secondo le prescrizioni della Chiesa, ciò non solo per quanto è di pracetto generico di eseguire sempre il divino ufficio con dignità, attenzione e devotamente, ma anche per quanto si riferisce all’arte del Canto, poiché nella salmodìa si deve badare sia alla precisione dei toni con le loro proprie cadenze medie e finali, sia alla pausa conveniente dell’asterisco, sia infine alla piena concordia della declamazione dei versetti salmodici e delle strofe degli inni.
Se tutto ciò sarà eseguito con scrupolo, tutti, salmeggiando secondo le regole, non solo dimostreranno l’unità dei loro spiriti intenti alla lode di Dio, ma nell’equilibrato avvicendarsi delle due ali del coro sembreranno emulare la lode eterna dei Serafini, i quali ad alta voce cantavano alternativamente Santo, Santo, Santo.
IV. Affinché nessuno in avvenire abbia ad accampare facili scuse per credersi dispensato dall’obbligo di obbedire alle leggi della Chiesa, tutti gli Ordini dei canonici e tutte le Comunità religiose dovranno trattare tali disposizioni in apposite riunioni, e come un tempo vi era il cantore o rettore del coro, così per il futuro in ogni coro di canonici e di religiosi vi sia una persona competente, la quale mentre vigilerà sull’osservanza delle regole liturgiche e del canto corale, correggerà nella pratica i difetti dei singoli e dell’intero coro. Né va dimenticato che, secondo l’antica e costante disciplina della Chiesa e secondo le stesse costituzioni capitolari tuttora vigenti, è necessario che tutti coloro i quali sono tenuti all’ufficiatura corale conoscano in modo conveniente almeno il canto gregoriano.
Per canto gregoriano poi, da eseguirsi in ogni chiesa, nessuna eccettuata, si deve intendere solo quello che è stato restituito alla fedeltà degli antichi codici, e che è già stato proposto dalla Chiesa nell’edizione autentica della tipografia Vaticana»
Musicam Sacram
Pio XI ha riaffermato che il canto Gregoriano deve avere il primo posto nella liturgia cattolica, non solo in teoria, ma anche in pratica. Questo, naturalmente, fu ridetto dai Padri del Concilio Vaticano II. Il Papa era convinto che il clero dovesse essere preparato a cantare e volenteroso di farlo. Nessuno può obiettare che la visione di Pio XI di un clero capace di cantare non sia stata affermata anche dal Vaticano II. L'istruzione post-conciliare Musicam Sacram (1967) pone il livello minimo del canto della messa proprio sulle spalle del prete e degli altri ministri, non sulle spalle del direttore del coro, del cantore o dell’organista!
Nello scegliere le parti da cantarsi si cominci da quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima di tutto quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il popolo, o che devono essere cantate dal sacerdote insieme con il popolo; si aggiungano poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli o della sola «schola cantorum». (Musicam Sacram, 7)
Attiva partecipazione: ascoltare e cantare
La Costituzione sulla Sacra Liturgia, promulgata il 4 dicembre 1963, dice che alla “piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia”. E’ chiaro che il canto nutra la “piena consapevole e fruttuosa” partecipazione alla liturgia, impegnando l’assemblea sia nell’ascoltare che nel cantare. Abraham Joshua Heschel ci offre una riflessione che è tanto ristorante quanto realistica: “le persone possono anche non essere capace di pregare; ma tutti sono in grado di cantare. E il canto conduce alla preghiera”.
L’attribuzione - sia in ambito cattolico che ortodosso - di varie forme di canto liturgico al sacerdote, diacono, salmista, cantore, schola e assemblea, non è né arbitraria né facoltativa; appartiene alla natura essenziale della liturgia come azione corporativa dell’intera Chiesa adorante. Il cantare solo inni, prendendo in prestito in modo acritico questo sistema dalla tradizione liturgica protestante, minimizza, o addirittura elimina completamente, le forme dialogiche e responsoriali di canto che, nella tradizione Cattolica, manifestano ed esprimono la natura gerarchica di ogni azione liturgica
Cantare inni
Mi stupisco nel considerare il numero di sacerdoti e di musicisti di professione al servizio delle chiese cattoliche che ignorano il giusto posto dell’innodia nella liturgia cattolica. Con l’eccezione del Gloria e del Sanctus (inni nel senso lato del termine), ed eccettuando le Sequenze di Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, e dell’Addolorata, la forma innica come tale è interamente estranea alla celebrazione della Santa Messa. Nell’ufficio divino, invece, ci sono inni metrici ad ogni Ora. Gli inni, perciò, appartengono propriamente alla Liturgia delle Ore, mentre i dialoghi cantati, le antifone e la salmodia, insieme alle acclamazioni appartengono alla Messa.
Il modo standardizzato di cantare canzoni di tipo innico che caratterizza il culto protestante (o protestantizzato) è messo in pratica in una maniera piuttosto uniforme e tutti insieme. Il canto liturgico della nostra tradizione Cattolica, invece, privilegia modalità di espressione responsoriale, dialogica, antifonale e acclamatoria. Queste modalità, essendo fra le più efficaci forme di partecipazione attiva in canto, manifestano più adeguatamente il mistero della Chiesa quale organismo eucaristico composto da membri differenti, caratterizzato dall’ “ordine della sinfonia, un ordine di libertà nell’amore”. Il modo in cui cantiamo a Messa informa efficacemente il nostro intendere – o fraintendere – la Chiesa, il sacerdozio, e l’ordinamente gerarchico dell’assemblea liturgica. Un approccio protestante alla musica nella Messa finirà inevitabilmente per promuovere anche una ecclesiologia protestantizzata.
Cantare la liturgia
Una composizione che non appartiene alla liturgia e non conduce più in profondità nel mistero celebrato, anche se è cantata con entusiasmo a voci spiegate da tutti, non può essere qualificata come una vera espressione di consapevole e attiva partecipazione all’azione liturgica. L’attiva partecipazione implica che l’assemblea canti la liturgia stessa, incominciando dai recitativi dialogici, le acclamazioni e i ritornelli.
La Liturgia interamente cantata è la forma normativa
Musìcam Sacram presenta la celebrazione cantata come normativa. Contrariamente a ciò che comunemente e in modo errato si ritiene, la celebrazione totalmente in canto non è un solennizzare la liturgia nella sua forma recitata; anzi è l’opposto: la forma “letta” è derivata dalla celebrazione cantata che è la norma.
Canto per il popolo
I canti dell’assemblea richiedono una melodica cantilena che scaturisca dagli stessi testi iturgici ed esprima la loro naturale inflessione verbale per mezzo di semplici formule musicali adatte alle specifiche funzioni liturgiche di ciascun pezzo. La liuturgia romana abbonda di esempo: i diversi dialoghi e le acclamazioni, il tono semplice del Te Deum, i responsori brevi di lodi e vespri, il Gloria XV, il Credo I, e il Sanctus XVIII.
Da dove cominciare
1. Preti, imparate a cantare le parti che vi spettano: gli elementi dei dialoghi, i saluti, il dialogo del prefazio e i prefazi stessi, le parole della consacrazione. ecc. Le melodie ufficiali sono nel Messale. Può essere faticoso all’inizio, ma ripetete e ripetete finchè non vi diventa una “seconda natura”. Non riservate il canto del sacerdote per le cosiddette occasioni speciali o per le solennità. Il canto dei ministri appartiene al primo livello del cantare nella Messa. Se voi sacerdoti canterete le vostre parti, il popolo canterà le sue.
2. Cantate l’Ordinario della messa (cioè le parti che non cambiano). Il repertorio può essere costruito imparando un Ordinario alla volta. Privilegiate le composizioni del Kyriale Romanum o altre semplici composizioni del Graduale simplex o in lingua volgare.
3. Arrivate a cantare il Proprio della Messa. La “regola” che governa il canto del Proprio è stabilita nell’OGMR all’art. 48: Leggiamolo con attenzione. In corsivo i commenti
48. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola.
Si noti il quadruplice modo di eseguire il canto di ingresso. Nelle occasioni più solenne si può raccomandare di far cantare al popolo una versione metrica in lingua volgare durante la processione d’ingresso, facendo seguire a questo canto lo stesso introito in gregoriano preso dal Graduale da eseguirsi durante l’incensazione dell’altare.
Si può utilizzare sia l’antifona con il suo salmo, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.
Le scelte sono date in ordine di preferenza! La prima scelta è il testo dell’antifona del Graduale (con la musica gregoriano o con un’altra). Seconda scelta il testo dal Graduale Simplex (adattato in inglese per es. ma non ancora in Italiano). La terza scelta – l’ultima spiaggia per il canto!- è “un altro canto adatto”, che si distacca dalla tradizione di solo salmo e antifona, canto che sia però “approvato dalla Conferenza Episcopale”. Da nessuna parte c’è il permesso “in bianco” di utilizzare una qualunque canzone astraendo da tutti i criteri liturgici.
Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal Messale romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale (Cf. n. 31).
L’antifona di ingresso in molti luoghi è tranquillamente omessa, anche nella messa letta.
L’adattamento americano dell’OGMR differisce dall’editio typica, e permette di cantare come prima scelta l’antifona del Messale: ciò è molto strano, visto che tali antifone furono esplicitamente composte per la lettura non per il canto (ma forse gli adattatori dell’OGMR in inglese se n’erano dimenticati).
Il famigerato “alius cantus” (altro canto) è di per sè attentamente circoscritto. Deve essere (1) adatto all’azione sacra, (2) al giorno o al tempo liturgico, (3) il testo del canto deve essere approvato dalla Conferenza Episcopale.
Si ad introitum non habetur cantus, antiphona in Missali proposita recitatur sive a fidelibus, sive ab aliquibus ex ipsis, sive a lectore, sin aliter ab ipso sacerdote, qui potest etiam in modum monitionis initialis (cf. n. 31) eam aptare.

Originale inglese: http://vultus.stblogs.org/2009/04/in-aeternum-cantabo.html

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Devo ancora finire di leggerlo, ma non ho resistito a scrivere: che gioiello! Finalmente qualcuno che canta - davvero - fuori dal coro delle messe "lette"!!

Father Mark ha detto...

Carissimo Padre, grazie d'aver fatto la traduzione del mio testo. Ne sono contentissimo.

Caterina63 ha detto...

Come possiamo leggere dovunque nei documenti ufficiali, è ora di tornare a cantare LA messa, non cantare qualcosa, qualsiasi cosa, durante la messa.

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OTTIMO!!! Ottima distinzione, stupenda sottolineatura come tutto l'articolo ^__^

Grazie!

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