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martedì 16 dicembre 2014

Traduzione per favorire la Tradizione, non il Tradimento


"Ho saputo che Papa Innocenzo III, sotto cui venne celebrato il concilio del Laterano (il Lateranense IV), uomo di grande cultura, una volta, mentre predicava il giorno della festa della Maddalena tenne presso di sé un diacono che reggeva un'omelia di san Gregorio Magno su quella festa, e lui, il Papa, parola per parola traduceva in volgare ciò che vi era scritto in latino, domandando come proseguisse a colui che reggeva il volume, quando non si ricordava. Quando poi, dopo la predica, gli domandarono per quale ragione si era comportato in quel modo, dal momento che era perfettamente in grado di dire molte altre cose, rispose che lo aveva fatto per rimproverare ed istruire coloro che disdegnano di ripetere quanto è già stato detto da altri".

U. di Romans, De eruditione praedicatorum, in ID., Opera de vita regulari, II, Marietti, Torino 1956, p. 397.
E' un aneddoto riportato da Umberto di Romans (+1277), priore della provincia francese dei Domenicani; nel 1241 rischiò pure di diventare Papa. Venne invece eletto nel 1254 quinto Maestro Generale dei frati predicatori.
Questo religioso ci illustra un fatterello che dimostra come già nel XIII sec., il periodo di San Francesco, Sant'Antonio e San Domenico, le abitudini di preti e predicatori non fossero tanto dissimili da quelle odierne. Nella Chiesa il prurito di novità era grande, come lo è oggi. L'insofferenza per la retta dottrina e per la provata disciplina non era inferiore a quanto si manifesta ai nostri giorni.
E un grande Papa come Innocenzo III, che non aveva timore delle novità dello Spirito (convocava Concili e approvava la forma di vita di 12 poverelli di Assisi...), dava anche prova di umiltà e concretezza nella predicazione: in certe occasioni preferiva tradurre, ovvero adattare al suo uditorio, le prediche dei Padri della Chiesa, piuttosto che inventare qualcosa di nuovo. Non perché non sapesse farlo, ma per dare un esempio: comunicare in forme adatte ai tempi ciò che sempre è stato creduto, vissuto e celebrato nella Chiesa di Cristo è diverso - ieri come oggi - dal "cambiare", "inventare", "rivoluzionare", come qualcuno pretenderebbe. Giovanni XXIII ragionava come Innocenzo III quando ribadiva all'inizio del Vaticano II: "occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi". Tradurre sì, travisare no.
La dottrina e la disciplina della Chiesa crescono come un bambino che diventa adulto, si adattano, ma non cambiano, non mutano DNA, non spunta qualche dottrina nuova, o quella che ieri era prassi fondata sulla Scrittura domani può essere tralasciata e mutata nel suo contrario.
Dobbiamo sempre temere che, chi "disdegna di ripetere quanto è già stato detto da altri" ignori perfino ciò che è stato detto dallo stesso Gesù Cristo, di cui tutti - spero - vogliamo essere più possibile fedeli ripetitori.

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