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venerdì 9 luglio 2010

A proposito dell'imminente aggiornamento del documento sui Delicta Graviora (2001)

Vorrei scrivere qualche appunto per i giornalisti e i commentatori che - fra qualche giorno - salteranno come affamati sul nuovo documento che sta per essere pubblicato da parte di Papa Benedetto. Mi riferisco all'atteso documento che aggiorna le norme sui cosiddetti delicta graviora, già sanzionati nel 2001 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede attraverso questa lettera che tutti devono tener presente: AD EXSEQUENDAM ECCLESIASTICAM LEGEM. Essa elenca alcuni tra i delitti più gravi secondo il DIRITTO CANONICO e il modo di perseguirli, avocandoli cioè alla Congregazione stessa. Cosa significa? Che la prospettiva di questo documento è il diritto nella CHIESA, non nel MONDO o nella Società civile. Per questo i delitti (cioè particolari peccati che causano una violazione esterna e pubblica della legge o di un precetto, per dolo o colpa grave) vengono e verranno elencati secondo le loro categorie ecclesiali, che non hanno necessariamente corrispondenze con le categorie civili.

Infatti, per la Chiesa, delitti gravi si hanno sia contro la fede e i sacramenti della fede sia contro la morale. Queste sono le due grandi aree in cui si fanno rientrare le varie fattispecie. E' evidente che la profanazione dell'Eucaristia, o la violazione del sigillo sacramentale della Confessione siano atti che danno i brividi a chi condivide una visione di fede. Per questo la comunità ecclesiale deve perseguirli. Che poi questo non abbia lo stesso riscontro nel codice penale di un paese qualunque, ciò non fa problema.
A questi delitti  - pare - verrà aggiunto anche l'attentata ordinazione delle donne. Il fatto che sia già punita dalla scomunica latae sententiae (automatica) non fa sì che questo grave atto contro il sacramento dell'Ordine non debba essere anche perseguito con altre pene, che verranno probabilmente indicate dal documento in arrivo. Anche qui non importa cosa pensi il diritto civile, nè quanti urleranno alla discriminazione. E' una questione di fede, interna alla Chiesa, e rientra infatti nei delitti contro la fede e i sacramenti. Se uno non ci crede si astenga dal giudicare.

Nella sezione sui delitti contro la morale, come tutti sanno, sarà ampliata la portata della pedofilia, ed estese le stesse pene a chi viola persone con disabilità. E questa è una novità notevole. Qui - evidentemente - tutti diranno che era ora, e il Papa fa bene a sanzionare ecc. ecc., senza rendersi conto che si tratta di AGGIORNAMENTO e in certo modo allargamento, non di norme nuove e mai viste prima.

Chiarito quanto sopra, spero che a nessun giornalista o commentatore verrà in mente di accostare e far entrare in corto circuito (appositamente provocato) le due fattispecie che salteranno agli occhi: cioè il caso dei minori violati e il caso dell'attentata ordinazione delle donne. Oso sperare non ci tocchi vedere titoli del genere: "l'ordinazione delle donne equiparata alla violenza sui minori" perchè sarebbero titoli falsi e fuorvianti. So che è una speranza vana, ma l'aver cercato di prevenirla sarà almeno un tentativo di far ragionare chi legge e non lasciarsi influenzare solo dal sensazionalismo.
Ricordate. Si tratta del diritto nella Chiesa, una società religiosa, non una società civile. Le due cose sono e rimangono distinte. E chi attacca la fede, soprattutto dall'interno, come ci sta insegnando Papa Benedetto, è pericoloso per la Chiesa e le reca grave danno. Perciò c'è bisogno di aggiornare anche le pene medicinali, per cercare di prevenire o guarire chi è incappato in certi peccati.

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Mons. Charles J. Scicluna, Promotore di Giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2004 spiegò la procedura e la prassi tenute dalla Congregazione Vaticana per il perseguimento di tali delitti. Potete leggere l'intero e particolareggiato documento qui.
Ve ne riporto solo uno stralcio della prima parte che aiuta a capire e contestualizzare ulteriormente le aggiunte che verranno fatte dall'aggiornamento atteso a breve:

Procedura e Prassi presso la Congregazione per la Dottrina della Fede riguardo ai delicta graviora

A. Alcune precisazioni di diritto sostanziale

Facendo eco all’art. 52 della Const. Apost. Pastor bonus (28 giugno 1988), l’Art. 1 del Motu Proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (30 aprile 2001) distingue tra due tipi di delicta graviora:
a) “delicta in sacramentorum celebratione commissa
b) “delicta contra mores

Per quanto riguarda i delicta graviora in sacramentorum celebratione commissa il MP considera solo due dei sacramenti; i) l’augustissimo Sacrificio e Sacramento dell’Eucaristia; ii) il Sacramento della Penitenza.

Sono cinque i delitti contro l’Eucaristia elencati dal MP all’Art. 2:
1. La profanazione delle speci eucaristiche (Art. 2, n. 1°). Si nota che il MP fa esplicito riferimento (alla nota 9) all’interpretazione autentica del 4 giugno 1999 che includeva sotto il verbo “abicere” usato dal can. 1367 CIC e dal can. 1442 CCEO “quamlibet actionem Sacras Species voluntarie et graviter despicientem”.
2. La tentata celebrazione liturgica del Sacrificio eucaristico da parte di una persona che non è insignita del sacerdozio (Art. 2, n. 2° 7 can. 1378, § 2, n. 1° CIC). Questo delitto non è menzionato nel CCEO ma in forza del MP entra esplicitamente nel corpus canonum ecclesiarium orientalium.
3. La simulazione della celebrazione liturgica del Sacrificio eucaristico (Art. 2, n. 2° 7 can. 1379 CIC; can. 1443 CCEO). I due Codici considerano delitto la simulazione di tutti i sacramenti. Il MP considera delictum gravius solo la simulazione della S. Messa o Divina Liturgia.
4. La concelebrazione del Sacrificio eucaristico con ministri di comunità ecclesiali che non hanno la successione apostolica né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale (Art. 2, n. 3°). Il MP menziona esplicitamente i cann. 908 e 1365 del CIC nonché i cann. 702 e 1440 del CCEO. La dicitura di questi canoni e più inclusiva del MP che restringe la tipologia del delictum gravius alla concelebrazione del Sacrificio eucaristico con ministri “protestanti”. Mi sembra che i due elementi (assenza di successione apostolica; non riconoscimento della dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale) non sono da disgiungere nella descrizione della particolare comunità ecclesiale di cui all’Art. 2, n. 3°.
5. La consacrazione in sacrilegum finem di una specie eucaristica senza l’altra o di ambedue fuori della celebrazione eucaristica (Art. 2, § 2). La nota 19 riporta il can. 927 del CIC che usa il termine “Nefas est” per proibire un comportamento che non era tecnicamente un delitto. Da notare l’aggiunta del finis operantis “in sacrilegum finem”. Mi domando se il contesto sacrilego non faccia avvicinare questa fattispecie a quella della profanazione dell’Eucaristia intesa come “quaelibet actio Sacras Species voluntarie et graviter despicientem”.

Sono quattro i delitti contra la santità del Sacramento della Penitenza contemplati all art. 3 del MP :
1. L’assoluzione di un complice in un peccato contro il Sesto Comandamento (Art. 3, n. 1° 7 can. 1378, § 1 CIC; can. 1457 CCEO).
2. La sollecitazione ad un peccato contro il Sesto Comandamento (Art. 3, n. 2° 7 can. 1387 CIC; can. 1458 CCEO). Da notare che il MP limita il delictum gravius alla sollecitazione che “ad peccandum cum ipso confessario dirigitur”, mentre il concetto classico di sollicitatio di cui nei Codici include anche la sollecitazione di peccare contro il Sesto Comandamento con una terza persona. La giurisprudenza su questo delitto è assai evoluta, anche perché nel CIC 1917 c’era l’obbligo sotto pena di scomunica di denunciare il confessore sollecitante. La sollecitazione include anche l’incoraggiamento esplicito ad un comportamento impuro. Alcuni fattispecie di comportamento abusivo hanno dimostrato che dei sacerdoti avrebbero usato il Sacramento della Penitenza per individuare le vittime e per fare il primo contatto. Questo comportamento potrebbe facilmente entrare sotto la fattispecie della sollicitatio inchoata” dove il confessore inizia un discorso apparentemente innocente aizzando il penitente ad un incontro fuori della confessione e susseguente ad essa con finalità che risulterà dai fatti lussuriosa ovvero indecente.
3. La violazione diretta e indiretta del sigillo sacramentale (Art. 3, n. 3° 7 can. 1388, § 1 CIC; can. 1456, § 1 CCEO). Il MP originariamente si limitava alla violazione diretta del sigillo. Il Santo Padre in occasione dell’Udienza concessa al Cardinal Ratzinger in data 7 febbraio 2003 ha deciso di includere anche la violazione indiretta. Questa decisione pontificia certamente rende più facile il discernimento dell’Ordinario che deve decidere quale fattispecie riferire alla CDF per competenza. Si sa quanto delle volte riesce difficile distinguere bene tra le due fattispecie di violazione del sigillo.
4 . La registrazione nonché la divulgazione tramite i mezzi di comunicazione sociale di quello che si dice in confessione sia dal confessore che dal penitente (Art. 3, n. 4° 7 Decretum CDF, 23.09.1988: AAS 80 [1988] 1367). Questo delictum gravius è stato aggiunto dal Santo Padre solo di recente con una decisione in data 7 febbraio 2003. Il decreto della CDF che comminava la scomunica latae sententiae è stato pubblicato nel 1988.
Conviene notare qui un principio di diritto processuale particolare alle cause per questo tipo di delitti. L’Art. 20 del MP stabilisce che nei casi per i delitti contro il Sacramento della Penitenza il nome del denunziante non può essere indicato al reo o al suo patrono se non con l’esplicito consenso del denunziante. Questo principio tradizionale ha dei corollari normativi di cui anche all’Art. 20: a) la questione della credibilità del denunziante diventa in questi casi di massima importanza; b) bisognerà sempre evitare qualunque pericolo di violazione del sigillo sacramentale.

Per quanto riguarda la categoria dei delicta contra mores, il MP ha recepito solo uno all’ art. 4: il delitto contro il Sesto Comandamento commesso con un minore di diciotto anni da un chierico.
Al riguardo sono rilevanti alcune precisazioni che vengono dalla prassi della CDF:
a) Il MP parla di “delictum cum minore”. Questo non significa solo il contatto fisico o l’abuso diretto ma include anche l’abuso indiretto (per esempio: mostrare pornografia ai minori, esibirsi nudi davanti ai minori). Include anche il recupero e il salvataggio (downloading) di pornografia pedofila, per esempio da internet. Questo tipo di comportamento è anche un delitto civile in alcune nazioni. Mentre il browsing può essere involontario, difficilmente lo è il downloading che non solo richiede una scelta o opzione specifica ma molte volte presuppone un servizio a pagamento con carta di credito e la conseguente comunicazione dei dati personali dell’acquirente che difficilmente rimane anonimo e molte volte è rintracciabile. Alcuni sacerdoti sono stati condannati ed incarcerati per possesso di migliaia di foto pornografiche raffiguranti bambini ed altri minori. Secondo la prassi della CDF questo comportamento rientra sotto il delictum gravius in parola.
b) Il CIC al can. 1395, § 2 parla di delitto “cum minore infra aetatem sedecim annorum”. Il MP invece parla di “delictum ... cum minore infra aetatem duodeviginti annorum”. La classificazione del delitto diventa perciò più complessa. Infatti alcuni esperti non solo parlano di pedofilia (l’attrazione sessuale per bambini impuberi) ma anche di efebofilia (l’attrazione sessuale per adolescenti) e di omosessualità (l’attrazione sessuale per adulti dello stesso sesso), e non si escludono nemmeno casi di etero sessualità (l’attrazione sessuale per adulti dell’altro sesso). Tra i sedici e i diciotto anni alcuni “minori” possono passare ed essere percepiti piuttosto come oggetto di attrazione omosessuale o eterosessuale. Alcune legislazioni civili considerano un giovane di sedici anni capace di dare il consenso per attività sessuale. Il MP invece stigmatizza come delitto ogni violazione del Sesto Comandamento con un minore di diciotto anni sia essa di sfondo pedofilo, efebofilo, omosessuale o eterosessuale. Questa differenziazione ha comunque la sua importanza dal punto di vista psicologico, pastorale ed anche direi giuridico. Aiuta senz’altro a captare la gravità del crimine e suggerire sia al giudice che all’Ordinario le vie da seguire per l’emendazione del reo, la riparazione dello scandalo e la restituzione della giustizia (cfr can. 1341).
c) Alcuni casi seri di abuso sessuale di minori tra i sedici e i diciotto anni commessi prima del 30 aprile 2001 sono stati perseguiti a norma del can. 1399: “Praeter casus hac vel aliis legibus statutos, divinae vel canonicae legis externa violatio tunc tantum potest iusta quidem poena puniri, cum specialis violationis gravitas punitionem postulat, et necessitas urget scandala praeveniendi vel reparandi”. Siccome questo canone parla solo di “iusta poena”, secondo il can. 1349 il giudice non può comunque comminare delle pene perpetue.

La questione della prescrittibilità dei delicta graviora è ancora molto discussa anche dopo il MP che per la prima volta nella storia impone l’estinzione dell’actio criminalis in questi casi per decorrenza di un termine. L’Art. 5 § 1 indica una prescrizione di dieci anni, mentre l’Art. 5, § 2 stabilisce che questo decennio decorre a norma del can. 1362, § 2 CIC o del can. 1152, § 3 CCEO (“praescriptio decurrit ex die quo delictum patratum est, vel, si delictum sit permanens vel habituale, ex die quo cessavit”). Nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni. La prassi indica che il termine di dieci anni non è adeguato per questo tipo di casi e che sarebbe auspicabile un ritorno al sistema precedente dell’imprescrittibilità dei delicta graviora. Il 7 novembre 2002 il Santo Padre concesse alla CDF la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda dei singoli vescovi.

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