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sabato 9 marzo 2013

La preghiera dei Concili e dei Conclavi per prendere le giuste decisioni


Durante le Congregazioni generali e all’inizio del Conclave i Cardinali recitano una particolare e antica preghiera intitolata Ádsumus, dalla parola con cui si apre. “Una preghiera solitamente poco nota e però di grande valore, e in un certo senso di particolare interesse”, la definisce il Cardinal Attilio Nicora. È sua la riflessione che vi propongo a commento del testo latino e italiano di questa veneranda formula di invocazione allo Spirito Santo prima di compiere grandi decisioni collegiali.

ADSUMUS
Adsumus, Dómine, Sancte Spíritus,
ádsumus peccáti quidem immanitáte deténti, sed in nómine tuo speciáliter congregáti.
Veni ad nos et esto nobíscum; et dignáre illábi córdibus nostris: doce nos quid agámus, quo gradiámur, et osténde quid effícere debeámus ut, te auxiliánte, tibi in ómnibus placére valeámus.
Esto solus suggéstor et efféctor iudiciórum nostrórum, qui solus cum Deo Patre et eius Fílio nomen póssides gloriósum.
Non nos patiáris perturbatóres esse iustítiae, qui summam díligis aequitátem.
Non in sinístrum nos ignorántia trahat, non favor infléctat, non accéptio múneris vel persónae corrúmpat, sed iunge nos tibi efficáciter solíus tuae grátiae dono, ut simus in te unum et in nullum deviémus a vero, quátenus in nómine tuo collécti sic in cunctis teneámus cum moderámine pietátis iustítiam, ut et hic a te in nullo disséntiat senténtia nostra, et in futúrum pro bene gestis consequámur praemia sempitérna.
AMEN
ADSUMUS
Siamo qui dinnanzi a te, o Spirito Santo Signore; siamo qui oppressi dall'enormità del nostro peccato ma riuniti in modo speciale nel tuo nome.
Vieni a noi e resta con noi; degnati di penetrare nei nostri cuori.
Insegnaci tu ciò che dobbiamo fare, indicaci il cammino da seguire, e mostraci come operare perché con il tuo aiuto possiamo piacerti in tutto 
Sii tu solo a suggerire e a portare a compimento le nostre decisioni, perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo, hai un nome santo e glorioso.
Non permettere che sia lesa da noi la giustizia, tu che ami la perfetta equità.
Non ci faccia deviare l'ignoranza, non ci renda parziali l'umana simpatia, non c'influenzino cariche o persone; tienici invece fortemente stretti a te col dono della tua grazia, perché siamo una cosa sola in te e in nulla ci discostiamo dalla verità.
Proprio perché riuniti nel tuo nome, fa' che sempre sappiamo praticare la giustizia temperandola con la pietà così che quaggiù il nostro giudizio non si discosti mai dal tuo,e un giorno ci sia dato, per le nostre responsabilità ben adempiute, il premio eterno.
AMEN


Siamo qui davanti a Te, Spirito Santo Signore.
Riflessione del Card. Attilio Nicora (Ortona 11 maggio 2007)

La preghiera è individuata dalla parola iniziale: “Adsumus” che vuol dire “sumus ad”, siamo davanti, presso lo Spirito Santo Signore. È una preghiera sorta nella seconda metà del VII secolo d.C. in ambiente iberico. La Spagna di allora aveva caratteristiche romano-visigotiche a seguito dei
fenomeni di progressiva fusione tra l’antico ceppo latino e il sopravvenire dei popoli che erano stati chiamati barbari, ma che a poco a poco creavano sintesi inedite e nuovi equilibri, anche con la freschezza e la vivacità della loro diversa origine.
La preghiera non ha un autore sicuramente identificato: viene attribuita al grande padre della Chiesa Isidoro di Siviglia oppure, da altri, al vescovo di Toledo, Eugenio

Ma questo interessa poco. Interessa di più ricordare che progressivamente questa preghiera venne usata nei concilii provinciali, cioè nelle riunioni dei vescovi delle diocesi appartenenti ad una provincia ecclesiastica sotto la guida di un metropolita. Allora era molto sentita questa struttura ecclesiastica -vescovo metropolita con i suoi vescovi suffraganei- ben rispondente alle necessità pastorali ed a volte anche temporali di certi territori particolarmente caratterizzati dal punto di vista del contesto culturale, sociale e politico. Questi vescovi ogni tanto si ritrovavano per discutere, riflettere e soprattutto per prendere decisioni in rapporto al buon governo delle loro Chiese particolari, in spirito di comunione. Ovviamente per prima cosa avvertivano il bisogno di pregare Dio perché il loro riunirsi per confrontarsi e deliberare non poteva essere soltanto affare umano: era l’espressione di una responsabilità anzitutto cristiana ed ecclesiale. 
La preghiera, usata inizialmente nei concili provinciali, ebbe poi una sua storia secolare. Nei secoli più recenti essa si è universalmente affermata diventando la preghiera caratteristica non soltanto dei concili particolari, tenuti dai vescovi in diversi luoghi del mondo, ma soprattutto del Concilio Vaticano II; l’Adsumus era la preghiera che apriva le sessioni del Concilio. Inoltre questa preghiera è abitualmente recitata nei tribunali ecclesiastici, quando i giudici si riuniscono per decidere la sentenza; e dalle recenti indicazioni liturgiche è suggerita per le riunioni pastorali. 
È interessante peraltro rilevare che in una società che avvertiva profondamente l’ispirazione cristiana, come quella medioevale, questa preghiera fu valorizzata anche in alcuni momenti di assemblea civica. È dunque un testo che è stato pregato anche da cristiani – allora tutti si ritenevano cristiani – che si riunivano per deliberare non soltanto intorno a questioni di Chiesa, ma anche a problemi afferenti il bene comune civile. Il timbro dominante della preghiera rimane proprio delle decisioni ecclesiali, però, con prudente analogia, si può leggerla con riferimento anche a responsabilità civili in vista del bene comune generale.

Analizziamo il testo.
1. Notiamo anzitutto che la preghiera è rivolta allo Spirito Santo: Adsumus, Domine Sancte Spiritus, ossia: siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo Signore, cosa assai singolare, perché nella liturgia pubblica normalmente la preghiera è rivolta al Padre, mediante Gesù Cristo nello Spirito Santo; qualche rara volta, specie nelle liturgie più recenti, è rivolta a Gesù Cristo - pensiamo alla solennità del Corpus Domini o del Cuore di Gesù-; rarissimamente è rivolta in maniera diretta allo Spirito Santo. Ci si potrebbe domandare come mai. È probabile che questo riferirsi direttamente allo Spirito Santo derivi dalla consapevolezza, molto presente nella coscienza dei vescovi, che lo Spirito Santo è stato fin dall’inizio all’origine del compito apostolico. Lo Spirito Santo fu effuso in pienezza a Pentecoste sugli undici riuniti con Maria nel cenacolo (cf. At 2,1-13). Lo Spirito Santo fu presente al primo concilio ecumenico, quello di Gerusalemme. “È parso bene allo Spirito Santo e a noi stabilire quanto segue…” (At 15, 28). Ma soprattutto lo Spirito Santo è caratteristicamente in azione nella ordinazione sacramentale del vescovo: la formula essenziale del rito di ordinazione di un vescovo è un’invocazione rivolta al Padre in questi termini “Et nunc effunde super hunc electum”, ossia effondi sopra a costui che è stato scelto da te, “eam virtutem quae a te est, Spiritum principalem”, quella forza che viene da te, cioè lo Spiritus principalis, che è lo Spirito Santo in quanto ispiratore efficace dell’azione di chi governa nella Chiesa.
Princeps-principalis allude qui al governo di chi è capo nella Chiesa, cioè al governo pastorale. La grazia domandata nell’ordinazione per il vescovo è questo Spirito Santo che abilita a governare. 
Da un vescovo quindi ci si deve attendere il governo della Chiesa particolare e della Chiesa universale in comunione con tutti i vescovi e con il Papa.
Sappiamo anche noi oggi, che lo Spirito Santo è principio permanente di un’autentica e matura vita cristiana, lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima e ci viene dato come frutto continuo nell’Eucaristia che ci fa “un solo corpo e un solo Spirito” (Preghiera eucaristica III). Nella  Cresima, in particolare, ci è stato effuso con larghezza come Spirito Paraclito, cioè Spirito di sapienza e di intelletto, di consiglio e di fortezza, di scienza e di pietà, e di santo timore di Dio. Non stupisce perciò che ci si rivolga almeno una volta direttamente a questo Spirito Santo, che è Dominus, cioè Signore, è Dio, è la terza persona della Santa Trinità.

2. Una seconda considerazione. Il movimento della preghiera, Siamo qui dinanzi a Te: l’assemblea che inizia a riunirsi costituisce una trama orizzontale ma avverte il bisogno di aprirsi alla dimensione verticale, verso Dio. Perché questa congiunzione tra movimento orizzontale e verticale? Lo dice la preghiera stessa: “siamo qui oppressi dall’enormità del nostro peccato ma riuniti in modo speciale nel tuo nome”. La dimensione orizzontale da sola rivela solo una somma di soggetti “peccati quidem immanitate detenti”, bloccati dall’enormità del loro peccato. 
Essi resterebbero “detenti”, trattenuti e oppressi dal loro peccato, se dipendesse soltanto da loro fare qualcosa. Ma essi possono  congregarsi, convenire insieme,uscendo fuori dalle sbarre proprio nel nome dello Spirito Santo, perchè riuniti “specialiter” nel suo nome, domandano in modo particolare la sua assistenza. 
V’è dunque una forte sottolineatura dell’assoluta necessità dell’azione dello Spirito Santo, perché se mancasse Lui  non ci si potrebbe riunire per deliberare secondo giustizia ed equità. Dunque soltanto “in Nomine tuo specialiter congregati” o, come dice più avanti la preghiera, “in Nomine tuo collecti” si può configurare un’assemblea deliberante degna e responsabile. 

3. Un terzo punto. Come risulta descritta l’azione dello Spirito Santo? Noi siamo dinanzi a Lui ma gli chiediamo di venire a noi (“Veni ad nos”), di stare con noi (“esto nobiscum”), nei nostri cuori (“dignare illàbi cordibus nostris)”. Noi possiamo al massimo stare davanti a Dio, ma tutta l’azione positiva è svolta da Lui, che si muove verso noi, viene, sta con noi, ci accompagna e penetra estensivamente nel cuore. Ma non basta: entrato così dentro di noi, lo  Spirito Santo fa ciò che gli chiediamo: insegnaci tu ciò che dobbiamo fare (“Doce nos quid agamus”), indicaci il cammino da seguire (“quo gradiamur”), mostraci come operare (“et ostende quid efficere debeamus”). Lo Spirito Santo suggerisce e rende efficaci le volontà decisionali. 
Tu solo puoi suggerire ciò che è da fare (“effector”), in concreto, e tu solo puoi rendere il nostro giudizio una decisione efficace che non stravolge la giustizia. Lo Spirito Santo non tollera che noi diventiamo gente che stravolge la giustizia (“Non nos patiaris perturbatores esse iustitiae”); Egli anzi resiste attivamente, contrasta efficacemente la nostra inclinazione deviante e addirittura per dono di grazia ci unisce a sé (“sed iunge nos Tibi efficaciter solius Tuae gratiae dono”). È il massimo: Egli ci unisce profondamente a sé al punto tale che Lui stesso agisce attraverso noi suoi discepoli, docili ai suoi suggerimenti e alla potenza che viene da Lui per avere il coraggio di decidere, e di portare a compimento le decisioni, secondo giustizia ed equità.
Nell’azione dello Spirito Santo secondo il testo della preghiera, possiamo distinguere un’attività che Egli opera in negativo e un’azione che Egli esprime in positivo. 
In negativo: in un’assemblea riunita nel suo nome Egli evita che si devii dalla verità (“in nullo deviemus a vero”), evita che l’assemblea perturbi la giustizia (“perturbatores esse iustitiae”), evita che si prendano decisioni sbagliate per ignoranza (“non in sinistrum nos ignorantia trahat”), o parziali a motivo del favoritismo (“non favor inflectat”), o ingiuste per spirito di corruzione (“non acceptio muneris vel personae currumpat”. Questa è “l’azione di contrasto” dello Spirito Santo. 
In positivo: lo Spirito Santo fa sì che in tutto noi si piaccia a Lui (“ut, Te auxiliante, Tibi in omnibus placere valeamus”), come sarebbe logico dal momento che Egli ci ha uniti e riuniti a sé (“iunge nos Tibi”): l’assemblea dovrebbe respirare, fare, decidere in perfetta sintonia con Lui sì da piacergli in tutto. Lo Spirito Santo fa poi coincidere la nostra valutazione/decisione con quella di Dio (“ut in nullo dissentiat sententia nostra”). L’ideale è che la nostra “sententia”, cioè valutazione/decisione, sotto nessun  profilo sia in contrasto con il pensiero di Dio e con la sua volontà. Infine lo Spirito Santo – punto caratteristico della preghiera di una assemblea deliberante – fa sì che nel risolvere ogni questione noi pratichiamo la giustizia temperata dalla pietà (“sic in cunctis teneamus cum moderamine pietatis iustitiam”). Sposare insieme la giustizia e la pietà: è il compito dell’assemblea deliberante. E per questo lo Spirito Santo è dato. 
San Zeno, vescovo di Verona (sec. IV), così delineava questo aspetto: «Iustitia distribuit, pietas ministrat». La giustizia ha il compito di distribuire, di dare a ciascuno il suo - ed è cosa altissima, perché significa riconoscere che tu sei tu e che ci sono dei diritti che ti appartengono naturalmente in forza della dignità della tua persona, chiunque tu sia. Ma nel momento in cui sottolineo il “dare a ciascuno il suo” lo distinguo anche da me e in qualche modo lo separo: lui è un altro. C’è un movimento centrifugo rispetto a me.
Se ci si muovesse soltanto in questa direzione, l’esito sarebbe anonimo, burocratico, freddo, perché ciascuno sarebbe “altro” ma secondo un’astratta valutazione di legge, senza volto e senza nome, solo “soggetto di diritti”. La legge umana procede per medie. Non si fanno leggi per una persona sola, ma per una generalità di comportamenti e con disposizioni che riguardano un numero indefinito di persone. Il nome e il volto normalmente non hanno rilievo nella legge, proprio perché essa è per sua natura generale ed astratta. Se dunque si operasse soltanto in questa direzione certamente sarebbe valorizzato l’io di tutti gli altri in quanto altri da me, portatori di diritti soggettivi, ma sparirebbero i volti, e dal punto di vista dell’umanizzazione delle relazioni sociali l’esito sarebbe ambiguo e precario. Qui c’è forse la radice della crisi dello “Stato assistenziale”, a ben vedere; la vera crisi non è solo economica, ma deriva dal fatto che si è immaginato che con i diritti e le provvidenze si sarebbero risolti tutti i problemi. 
Occorre invece che la “pietas” si intrecci con la giustizia (iustitia distribuit, pietas ministrat). “Ministrare” è un verbo tipicamente cristiano: descrive l’azione del servitore che premurosamente si affretta, quando giunge il padrone, a provvedere con sollecitudine alle sue necessità. Il  ministrare cristiano è l’attenzione a servire premurosamente l’altro guardandolo nel volto e chiamandolo per nome, cosa che la burocrazia non fa. Per la burocrazia tu sei “un numero”, non sei un nome, sei “un letto” non sei un malato, sei “una posizione” non sei un bisognoso. È solo la “pietas” che vede il volto, chiama per nome e sollecitamente serve. Ecco il senso stimolante di questo punto della preghiera. 
Infine lo Spirito Santo c’è per suggerire le soluzioni e per “efficere”, per far sì che diventino decisioni efficaci (“Esto solus suggestor et effector iudiciorum nostrorum”).

4. Da ultimo non si può tacere la bellissima prospettiva escatologica espressa dall’Adsumus: quaggiù e in futuro (“hic et in futuro”). Quaggiù domandiamo che il nostro giudizio si conformi a quello di Dio. E in futuro aspettiamo che per le cose fatte bene (“pro bene gestis”), per le nostre responsabilità ben esercitate, “consequamur praemia sempiterna”, ci sia dato il premio eterno. Allora finalmente capiremo ciò che era vero e ciò che era ambiguo, ciò che resta come valore, come bene, e ciò che deve sparire perché non ha fatto andare avanti nulla che valesse davvero la pena di durare. Vedremo finalmente oltre alle nostre miserie,delle quali peraltro non avremo la possibilità di arrossire perché ormai saremo nelle gioia, anche il molto bene che non avremmo mai sospettato ci fosse in tante persone, le intenzioni buone anche dei nostri avversari, la volontà di far qualcosa di costruttivo presente anche in quelli che ci hanno fatto perdere sere e sere in discussioni consiliari apparentemente inutili... Tutto vedremo e comprenderemo, e gioiremo di questo.” Ogni assemblea di cristiani dovrebbe esprimersi come corpo unitario (“Ut simus in Te unum”) fondendo i pensieri, i giudizi e le volontà, e così arrivando alla “sententia”, cioè a una decisione comune. La preghiera dell’Adsumus ci insegna che solo lo Spirito Santo ci può unire, e solo se uniti in Lui si può non deviare dal vero, non tradire la giustizia, tenere insieme giustizia e pietà, pensare e volere secondo Dio, come cristiani che insieme cercano faticosamente il bene di tutti. 
Qui sta la radice, il senso e la condizione dell’unità tra i cattolici anche nell’affrontare le grandi questioni civili di oggi. La nostra unità, in Te Spirito Santo, non farà prevalere i nostri pensieri meschini e i nostri inconfessati interessi, non ci farà adorare idoli culturali e politici di volta in volta ammalianti. Uniti a Te possiamo vivere l’umile fierezza della nostra grande storia di passione e di servizio per il bene di tutti. 
Che l’amore alla causa cattolica ci sproni a creare insieme cose “belle e utili per gli uomini” (Tito 3,8), ispirandoci alla dottrina sociale della Chiesa e non correndo dietro alle pretese della “gente” ma interpretando le attese più autentiche di un “popolo”.

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