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martedì 20 gennaio 2009

Un documento dimenticato
sulla preghiera "ad orientem"

Nel contesto della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani sto rileggendo la bellissima Istruzione per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del codice dei canoni delle chiese orientali emanata nel 1996 dalla Congregazione per le Chiese Orientali e firmata dall'allora prefetto Card. Silvestrini.
L'Istruzione riporta commenti e approfondimenti davvero interessanti e raramente citati, anche perchè questo documento, pur importante, è quasi sconosciuto nel contesto di noi latini.
Riporto qui sotto il par. 107 che dà una ulteriore, forte motivazione per riprendere anche nella nostra chiesa la posizione della preghiera "ad Orientem", soprattutto per la celebrazione dei santi misteri. Non sfugga il rimprovero finale, assolutamente chiaro del resto, a quei sacerdoti orientali che hanno preso la postura versus populum per influsso recente dei cambiamenti avvenuti tra noi latini. Il riferimento allo scritto del Damasceno è particolarmente persuasivo, in esso si afferma che la preghiera rivolti ad oriente è nientemeno che una "tradizione non scritta" di diretta origine apostolica.
Perchè allora lasciare questo modo così significativo di rivolgersi "fisicamente" al Signore alle sole chiese orientali, quando praticamente fin dall'inizio si è imposto in tutte le chiese, senza distinzione, diventando un comune patrimonio?
Oltre a riprendere dagli orientali il gusto per le icone e per la preghiera del cuore, riprendiamo anche il senso profondo di quello che affrettatamente si è lasciato cadere senza pensarci troppo e fa parte dell'indivisa e unitaria tradizione di tutti i cristiani.

107. La preghiera verso oriente

Sin da tempi antichissimi era in uso nella preghiera delle Chiese orientali prostrarsi fino a terra, rivolgendosi verso oriente; gli stessi edifici sacri venivano costruiti in modo che l’altare fosse rivolto ad oriente. San Giovanni Damasceno spiega il significato di questa tradizione:

«Non è per semplicismo e per caso che preghiamo rivolti verso le regioni d’oriente (…). Poiché Dio è luce (1Gv 1,5) intelligibile e nella Scrittura il Cristo è chiamato Sole di giustizia (Mal 3,20) e Oriente (Zac 3,8 secondo la LXX), per rendergli culto è necessario dedicargli l’oriente. Dice la Scrittura: “Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato” (Gen 2,8). (…) Alla ricerca della patria antica e ad essa tendendo, rendiamo il culto a Dio. Anche la tenda di Mosì aveva il telo e il propiziatorio rivolti ad oriente. E la tribù di Giuda, in quanto era la più insigne, si accampò dalla parte rivolta ad oriente (cfr Num 2,3). Nel tempio di Salomone la porta del Signore era rivolta ad oriente (cfr Ez 44,1). Infine, il Signore messo in croce guardava verso occidente, e così noi ci prostriamo rivolgendoci in direzione di lui. Al momento di ascendere in cielo era innalzato verso oriente e così i discepoli lo adorarono, e così verrà, nel modo in cui essi lo hanno visto ascendere in cielo (cfr At 1,11), come lo stesso Signore disse: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo (Mt 24,27). Attendendo lui, ci prostriamo verso oriente. Si tratta di una tradizione non scritta, derivante dagli Apostoli» (Giovanni Damasceno, Esposizione sulla fede ortodossa, IV,12: PG 94, 1133-1136).

Questa ricca e affascinante interpretazione spiega anche la ragione per la quale chi presiede la celebrazione liturgica prega rivolto verso oriente, proprio come il popolo che vi partecipa. Non si tratta in questo caso, come spesso viene ripetuto, di presiedere la celebrazione volgendo le spalle al popolo, ma di guidare il popolo nel pellegrinaggio verso il Regno, invocato nella preghiera sino al ritorno del Signore.
Tale prassi, minacciata in non poche Chiese orientali cattoliche per un nuovo, recente influsso latino, ha dunque un valore profondo e va salvaguardata come fortemente coerente con la spiritualità liturgica orientale. (Istruzione per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del codice dei canoni delle chiese orientali, n. 107)

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