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martedì 22 dicembre 2009

La colletta del Giorno del Natale e i riti offertoriali.

La preghiera di colletta (che significa la prima orazione presidenziale della Santa Messa, non la richiesta implorante di soldi che fa il parroco!) della Messa del Giorno di Natale nel Messale di Paolo VI ha una peculiarità tutta sua. Viene solennemente proclamata il 25 dicembre, ma il suo eco lo percepisce ogni sacerdote per tutto l'anno, ad ogni santa Messa da lui celebrata. Questa preghiera che si trova originariamente negli antichi sacramentari Veronese e Gelasiano, riprende i concetti espressi da San Leone Magno nel suo Sermone di Natale (1,3). La troviamo poi nell'offertorio del Messale "di san Pio V", dove accompagna - in ogni messa - l'infusione dell'acqua nel vino a significare l'unione della natura umana con la natura divina nell'unica persona del Verbo incarnato:

Colletta
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa' che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...

Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem et mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti, da, quæsumus, nobis eius divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps. Qui tecum.


Sopravvive, seppur mutilata, nei riti offertoriali della Messa postconciliare. Purtroppo, come spesso accade, la traduzione italiana l'ha mortificata:
Mentre il sacerdote infonde qualche goccia d'acqua nel calice dice:
Per huius aquæ et vini mystérium eius efficiámur divinitátis consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps.
In Italiano la preghiera diventa un'insipida affermazione che il sacerdote dice, non si sa a chi, visto che la recita sottovoce e non la rivolge a Dio: infatti, invece di invocare la partecipazione alla vita divina per il mistero dell'incarnazione significato dal gesto, afferma che l'acqua unita al vino "sia segno" della nostra "unione" con la vita divina di Cristo che si è fatto uomo:
L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana.
Ma la preghiera andrebbe tradotta come tale, non come un'affermazione. Ce lo mostra - tra l'altro - la traduzione della colletta natalizia. Più o meno potrebbe suonare così:
Per il mistero significato da quest'acqua che si unisce al vino, concedi (o Padre) che possiamo esser fatti partecipi della vita divina di Colui che si è degnato di divenire partecipe della nostra vita umana

Se, dunque, la colletta del Natale risplende per appropriata traduzione, ricadiamo invece nell'abisso dell'ideologia quando arriviamo a pronunciare la preghiera sulle offerte, che nel Messale italiano suona così:
Ti sia gradito, Signore, questo sacrificio, espressione perfetta della nostra fede, e ottenga a tutti gli uomini il dono natalizio della pace. Per Cristo nostro Signore.
Ma l'originale latino dice invece tutt'altro:
Oblátio tibi sit, Dómine, hodiérnæ sollemnitátis accépta, qua et nostræ reconciliatiónis procéssit perfécta placátio, et divíni cultus nobis est índita plenitúdo. Per Christum.
ovvero:
Ti sia accetta, Signore, l'offerta sacrificale dell'odierna solennità, che ha dato inizio alla completa espiazione per la nostra riconciliazione e ha inaugurato per noi la pienezza del culto divino.

Questa antica preghiera, come la colletta, non era presente nella messa natalizia preconciliare. E' una new entry, anch'essa ripresa dal Sacramentario Veronese, e ha avuto addirittura l'onore di essere citata alla lettera dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium (che probabilmente i traduttori del messale italiano non avevano sotto gli occhi). In italiano quel passo di SC 5 viene reso così: "... in Cristo «avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la pienezza del culto divino» ".
Viene ricordato, insomma, che la nascita di Cristo è in vista del sacrificio della croce (la vera oblatio) che viene ripresentato nel sacrificio della messa. La nascita di Gesù è già l'inizio della riconciliazione, perchè in lui l'umanità e la divinità sono tornate ad essere unite, e questo inaugura il vero culto divino, in Spirito e Verità. Altro che "dono natalizio della pace"! Quest'ultima espressione non fa capire che qui non si parla di pacchetti e regali, ma della riconciliazione tra Dio e l'uomo effettuata dalla vita del Salvatore offerta - dal giorno della nascita a quello della morte - al Padre in espiazione, per ottenere la riconciliazione (questa è la pace a cui ci si riferisce: la pace tra Dio e l'uomo).
Se il Concilio non ha avuto paura del concetto di placatio, cioè della riconciliazione che proviene dall'espiazione sacrificale che placa l'ira divina provocata dalla vista del peccato, come mai, invece, i traduttori hanno seppellito questa essenziale realtà teologica che collega Natale e Pasqua, sotto parole che fanno sparire sia il collegamento tra nascita di Gesù e sacrificio, sia il concetto di placatio, sia il collegamento con il culto divino che nella messa si esercita e che è permesso dall'incarnazione del Signore, la quale inaugura il regime sacramentale per cui la divinità è visibile e toccabile dall'umanità?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono ancora impressionato da questi tuoi appropriatissimi commenti.

Almeno in Italia, bisognerebbe veramente ritornare NON alla messa preconciliare, ma alla messa come rispecchiata nell'originale latino del Messale di Paolo VI, così spesso banalizzata se non sconciata nella traduzione italiana.
Questa sì che sarebbe una semplicissima "riforma della riforma", e non avrebbe bisogno di nessuna legge particolare... solo di una nuova e migliore tradizione fedele all'originale.

Grazie ancora!

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