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martedì 27 marzo 2012

Comunione e divorziati risposati: un caso di un ministro straordinario

Un lettore del blog scrive per un problema serio, oggi sempre più frequente. Riporto solo alcuni punti del messaggio per cercare di rispondere. Ricordo altresì che è sempre meglio mandarmi l'indirizzo email a cui rispondere in privato, altrimenti devo dare spiegazioni via blog. Ecco il quesito:
"Proprio ieri mi è capitato di dare la Comunione ad una signora, non sapendo che fosse divorziata risposata con un celibe originario....
....il Parroco -a detta della signora- avrebbe invitato i due coniugi a fare la comunione "ogni tanto".
Ma è possibile una cosa del genere? Se questi vanno in un'altra Chiesa dove nessuno li conosce e si accostano al Sacramento? .....la storia di questi due è piuttosto sofferta: ma se si presentano la prossima volta per l'Eucaristia, come mi debbo comportare?
Grazie!"
Carissimo Ministro Straordinario, ti do alcune piste di riflessione e alcune indicazioni:
a) Prima di tutto: non tocca a te, né ai diaconi, e neppure ai sacerdoti di passaggio che non conoscono la persona stabilire se possa accostarsi all'Eucaristia. Il verificare in se stesso le disposizioni tocca in primis al comunicando e alla sua coscienza (opportunamente formata dal suo pastore). Questo discernimento non ricade certo sul ministro che si trova a distribuire la comunione, che non può conoscere tutti, e magari non ha nemmeno i riflessi pronti.
b) Evidentemente chi sa di essere in una relazione matrimoniale irregolare, proprio per amore dell'Eucaristia si dovrebbe voler astenere dal riceverla, vivendo la sua situazione nello stato degli antichi penitenti, che a volte per anni e anni non si potevano accostare alla mensa del Signore, pur partecipando alla vita liturgica della Chiesa.
c) Purtroppo oggi il correre tutti a far la comunione, senza nemmeno avere il dubbio sulle proprie disposizioni, unito all'abolizione quasi totale del digiuno prima della comunione (ridotto a un'ora sola), fa si che molti si vergognino di non ricevere la comunione. Come mi diceva un saggio prete, il tempo di almeno tre ore di digiuno, permetteva in passato di avere un'ottima "scusa" in più, per non essere giudicati dagli altri se non si accedeva all'eucaristia (e purtroppo le malelingue non mancano....).
d) Al parroco o al sacerdote a cui compete la cura d'anime degli eventuali divorziati risposati, dovrebbe assicurarsi di parlare con loro e con chiarezza e delicatezza fargli cogliere i motivi che, perdurando il loro stato, impediscono ad essi di accedere alla comunione. E' lui, poi a dover impartire le direttive a diaconi, accoliti e ministri straordinari. Come afferma la dichiarazione del 2000 a questo proposito (vedi sotto). Non sta al diacono (e tantomeno al laico), insomma, il potersi permettere di rimproverare chichessia. Non deve dimenticare, né l'uno, né l'altro, di non essere un pastore e di non potersi comportare come un sacerdote a cui spesso le anime si aprono nel segreto inviolabile della confessione, che non può essere MAI svelato.
e) Evidentemente il fare la comunione dove non si è conosciuti, se da una parte evita lo scandalo, dall'altra parte non cambia la situazione di oggettivo stato irregolare, nè è rispettoso della coscienza propria e del comando di Gesù, ribadito dalla Madre Chiesa.
f) Può succedere che qualcuno, in alcuni casi, sia moralmente certo della invalidità delle prime nozze. Anche qui, però, se esternamente ciò non viene constatato dalla Chiesa, nessun ministro può dire: "ti do io il permesso di prendere la comunione". Però può essere che  i coniugi che appaiono divorziati risposati non lo siano "in pratica": perchè il primo matrimonio è davvero nullo, anche se non dichiarato, oppure perché non vivono come marito e moglie, pur continuando a convivere. (A me è capitato parecchi anni fa il caso di un ragazzo e una ragazza che per motivi economici convivevano, ma non erano per nulla "conviventi": semplicemente amici che dividevano le spese, ma il loro parroco ottantenne non ammetteva una situazione del genere e non voleva si accostassero alla comunione.).

g) Dunque, dopo aver letto il documento che riporto sotto, chiedi al tuo parroco e stai a quello che lui dice. Senza se e senza ma. La responsabilità pastorale ricade su di lui. Se non ti senti in grado in coscienza di obbedirgli, (qualunque sia il suo responso - che non deve necessariamente giustificare a te, perché potrebbe sapere qualcosa conosciuta in confessione), può essere doveroso astenersi dal ministero straordinario della comunione. 

Aggiungo qui sotto la normativa vigente, come interpretata dalla Dichiarazione sul canone 915 che invito a leggere tutta:

Il Codice di Diritto Canonico stabilisce che: "Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto" (can. 915).
Negli ultimi anni alcuni autori hanno sostenuto, sulla base di diverse argomentazioni, che questo canone non sarebbe applicabile ai fedeli divorziati risposati. Viene riconosciuto che l'Esortazione Apostolica Familiaris consortio del 1981 aveva ribadito, al n. 84, tale divieto in termini inequivocabili, e che esso è stato piú volte riaffermato in maniera espressa, specialmente nel 1992 dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650, e nel 1994 dalla Lettera Annus internationalis Familiae della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ciò nonostante, i predetti autori offrono varie interpretazioni del citato canone che concordano nell'escludere da esso in pratica la situazione dei divorziati risposati. Ad esempio, poiché il testo parla di "peccato grave" ci sarebbe bisogno di tutte le condizioni, anche soggettive, richieste per l'esistenza di un peccato mortale, per cui il ministro della Comunione non potrebbe emettere ab externo un giudizio del genere; inoltre, perché si parli di perseverare "ostinatamente" in quel peccato, occorrerebbe riscontrare un atteggiamento di sfida del fedele, dopo una legittima ammonizione del Pastore.
Davanti a questo preteso contrasto tra la disciplina del Codice del 1983 e gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia, questo Pontificio Consiglio, d'accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede e con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dichiara quanto segue:
1. La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l'ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: "Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1 Cor 11, 27-29).
Questo testo concerne anzitutto lo stesso fedele e la sua coscienza morale, e ciò è formulato dal Codice al successivo canone 916. Ma l'essere indegno perché si è in stato di peccato pone anche un grave problema giuridico nella Chiesa: appunto al termine "indegno" si rifà il canone del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali che è parallelo al can. 915 latino: "Devono essere allontanati dal ricevere la Divina Eucaristia coloro che sono pubblicamente indegni" (can. 712). In effetti, ricevere il corpo di Cristo essendo pubblicamente indegno costituisce un danno oggettivo per la comunione ecclesiale; è un comportamento che attenta ai diritti della Chiesa e di tutti i fedeli a vivere in coerenza con le esigenze di quella comunione. Nel caso concreto dell'ammissione alla sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il sacramento dell'Eucaristia e l'indissolubilità del matrimonio. Tale scandalo sussiste anche se, purtroppo, siffatto comportamento non destasse piú meraviglia: anzi è appunto dinanzi alla deformazione delle coscienze, che si rende piú necessaria nei Pastori un'azione, paziente quanto ferma, a tutela della santità dei sacramenti, a difesa della moralità cristiana e per la retta formazione dei fedeli.
2. Qualunque interpretazione del can. 915 che si opponga al suo contenuto sostanziale, dichiarato ininterrottamente dal Magistero e dalla disciplina della Chiesa nei secoli, è chiaramente fuorviante. Non si può confondere il rispetto delle parole della legge (cfr. can. 17) con l'uso improprio delle stesse parole come strumenti per relativizzare o svuotare la sostanza dei precetti.
La formula "e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto" è chiara e va compresa in un modo che non deformi il suo senso, rendendo la norma inapplicabile. Le tre condizioni richieste sono:
a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell'imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare;
b) l'ostinata perseveranza, che significa l'esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale;
c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale.
Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - "soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi" (Familiaris consortio, n. 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo.
3. Naturalmente la prudenza pastorale consiglia vivamente di evitare che si debba arrivare a casi di pubblico diniego della sacra Comunione. I Pastori [non i diaconi, capito!] devono adoperarsi per spiegare ai fedeli interessati il vero senso ecclesiale della norma, in modo che essi possano comprenderla o almeno rispettarla. Quando però si presentino situazioni in cui quelle precauzioni non abbiano avuto effetto o non siano state possibili, il ministro della distribuzione della Comunione deve rifiutarsi di darla a chi sia pubblicamente indegno. Lo farà con estrema carità, e cercherà di spiegare al momento opportuno le ragioni che a ciò l'hanno obbligato. Deve però farlo anche con fermezza, consapevole del valore che tali segni di fortezza hanno per il bene della Chiesa e delle anime. Il discernimento dei casi di esclusione dalla Comunione eucaristica dei fedeli, che si trovino nella descritta condizione, spetta al Sacerdote responsabile della comunità. Questi darà precise istruzioni al diacono o all'eventuale ministro straordinario circa il modo di comportarsi nelle situazioni concrete.
4. Tenuto conto della natura della succitata norma ( cfr. n. 1), nessuna autorità ecclesiastica può dispensare in alcun caso da quest'obbligo del ministro della sacra Comunione, né emanare direttive che lo contraddicano [ma il parroco può sapere se la norma non si applica perché i due non sono in peccato, anche se esternamente risultano sposati "in municipio"].
5. La Chiesa riafferma la sua sollecitudine materna per i fedeli che si trovano in questa situazione o in altre analoghe, che impediscano di essere ammessi alla mensa eucaristica. Quanto esposto in questa Dichiarazione non è in contraddizione con il grande desiderio di favorire la partecipazione di quei figli alla vita ecclesiale, che si può già esprimere in molte forme compatibili con la loro situazione. Anzi, il dovere di ribadire questa non possibilità di ammettere all'Eucaristia è condizione di vera pastoralità, di autentica preoccupazione per il bene di questi fedeli e di tutta la Chiesa, poiché indica le condizioni necessarie per la pienezza di quella conversione, cui tutti sono sempre invitati dal Signore, in modo particolare durante quest'Anno Santo del Grande Giubileo.
Dal Vaticano, 24 giugno 2000. Solennità della Natività di San Giovanni Battista.
+ Julián Herranz - Arcivescovo tit. di Vertara - Presidente
+ Bruno Bertagna - Vescovo tit. di Drivasto - Segretario

4 commenti:

Unknown ha detto...

mi sento molto molto confusa sull'argomento...
nella nostra parrocchia vedo persone divorziate e risposate solo civilmente che fanno tranquillamente la comunione.
Parlando con una conoscente che ha sposato solo civilmente il marito ateo ma precedentemente sposato in chiesa con un'altra donna...lei i hadetto che è andata dai frati cappuccini e padre tal dei tali le ha detto di stare tranquilla che va bene così ... benedetti gli anelli e tranquilla che faccia la comunione.
un altro amico... sposato in chiesa con una donna dopo pochi mesi lei si è innamorata perdutamente di un altro e lui l'ha lasciata andare per non costringerla all'infelicità... dopo parecchi anni ha conosciuto l'attuale moglie sposata solo civilmente... il precedente sacerdote aveva dato l'ok alal comunione ma gliela dava riservatamente... l'attuale parroco senza problemi a tutti e due...
i genitori di un compagno di scuola di mio figlio...lei divorziata sposati in comune... comunione senza problemi a tutti e due...
e poi un nostro amico lasciato dalla moglie adultera... si è visto negare la comunione e la confessione lui... che viveva in castitànella speranza la moglie rinsavisse... è morto povero... credo senza nemmeno il conforto dei sacramenti. Ligissimo.
io non penso nulla non so orientarmi ... non caomprendo ne so troppo poco... MA... o si per certi casi e per tutti si... o no e per tutti no. Dall'altro della chiesa non un prete si uno no...

Anonimo ha detto...

ho sposato un divorziato... frequento regolarmente la Chiesa... mi confesso e non ricevo l'assoluzione... accetto tranquillamente la posizione della Chiesa nei confronti della mia situazione e non mi accosto alla SS Eucarestia... pratico la Comunione spirituale... ed ho una particolare devozione per Gesù Sacramentato... partecipo con zelo ogni giovedì alla Adorazione Eucaristica... sento la vicinanza del Signore nella mia vita di sposa... amo il mio sposo e tra noi c'è il Timor di Dio...

A.R. ha detto...

Cara Brigida, lei ha perfettamente ragione in mostrare questo: se i preti non sono obbedienti e non si rendono conto che il loro comportamento soggettivo è sbagliato perché genera confusione, non faranno un servizio a Cristo, ma recheranno solo disorientamento in mezzo al popolo di Dio. La penitenza e l'astenersi dalla comunione non è sempre segno di esserne allontanati, anzi dovrebbe essere prima di tutto un sentire personale che non devo accostarmi ad essa. Per situazioni OGGETTIVE, che non dipendono dai miei sentimenti, ma dalle mie precedenti scelte libere, di cui mi assumo le conseguenze. Altrimenti non c'è serietà e l'Eucaristia invece di essere il culmine della vita cristiana viene disprezzata. Astenersi dall'Eucaristia è uno dei modi più belli, oggi, di dire e mostrare quanto sia importante e quanto ciascuno si rende conto di cosa sia!

Anonimo ha detto...

naturalmente anche un prete sposato civilmente, che non ha ancora ricevuto la dispensa dal Santo Padre, non può accostarsi a Confessione e Eucaristia, giusto?

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