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lunedì 13 maggio 2013

La "borsa valori" delle chiese segna in rialzo quelle conservatrici in dottrina e favorevoli alla religiosità popolare


Intervista da leggere su Vatican Insider, firmata Tornielli, a Massimo Introvigne, nell'occasione della presentazione dell'Enciclopedia delle religioni in Italia.
Mentre viene ridimensionato il "mito" dell'invasione islamica della penisola (meno della metà degli immigrati sono musulmani), Introvigne mostra che la crescita maggiore è quella degli ortodossi, provenienti dall'Est Europa. Per quanto riguarda invece l'andamento dei numeri dei protestanti italiani è interessante notare quanto sostiene l'esperto sociologo della religione:
Il protestantesimo italiano cresce in modo significativo, e questa crescita si deve in larghissima parte alle comunità pentecostali. Il fenomeno è mondiale: ovunque nel mondo le comunità protestanti storiche perdono membri e quelle pentecostali - arrivate ormai al mezzo miliardo di fedeli - ne guadagnano. Certamente - lo sa bene il nuovo Papa Francesco, che si è interessato del fenomeno in Argentina, dov'è molto vistoso - una delle ragioni del successo è la preghiera molto viva e calorosa, che attira ex-cattolici specie nelle zone dove c'era un forte attaccamento a una religiosità popolare che andava certo purificata ed evangelizzata ma che una maldestra "modernizzazione" cattolica ha combattuto, determinando un esodo di cattolici verso il pentecostalismo. Non a caso Papa Francesco nell'incontro con le confraternite del 5 maggio ha messo in guardia contro la liquidazione frettolosa della religiosità popolare. Ma una seconda ragione è riassunta nel titolo di un'opera del giurista e sociologo protestante americano Dean M. Kelley (1926-1997) del 1973, che è diventata un classico della sociologia: Why Conservative Churches Are Growing, "Perché crescono le Chiese conservatrici". A Kelley, che era un dirigente del Consiglio Nazionale delle Chiese americano, quello che riunisce le comunità storiche, il fenomeno non piaceva, ma già nel 1973 lo constatava e prevedeva che sarebbe esploso: adottando posizioni "liberali" su temi come l’aborto e l’omosessualità, e più in generale una teologia progressista che mette in dubbio la storicità della resurrezione e dei miracoli, le comunità storiche ottenevano l’applauso dei grandi media – il che dava loro l’impressione di essere sulla strada giusta – ma nello stesso tempo perdevano a ritmo sempre più rapido membri, che passavano alle comunità più conservatrici, soprattutto pentecostali.
Introvigne sta dicendo che:
1) La crisi della pietà popolare, riconosciuta e bene accolta dalla Chiesa, provoca - sociologicamente parlando - un esodo di fedeli (soprattutto al Sud), per la disaffezione verso forme popolari e coinvolgenti di esperienza cristiana.

2) L'allargamento liberal delle posizioni dottrinali e morali delle chiese non paga in termini di aderenti. E' da sfatare la convinzione secondo cui la gente se ne va o non aderisce alla Chiesa perché questa "è indietro di 200 anni" in questioni di credo o di proposta morale. Speriamo che qualcuno prenda seriamente anche i dati sociologici - che possono essere verificati - e smetta di ammanirci solo datate ricette ideologiche "a la Hans Küng", prive di concreti riscontri.

3) Papa Francesco, sia per quanto concerne la pietà popolare (le sue visite ai santuari e la sua intensa pietà mariana lo mostrano), sia per quanto riguarda la dottrina (pensiamo al richiamo alla sacralità della vita nascente, o alla realtà del diavolo e all'interpretazione della Bibbia secondo il magistero....) è pienamente consapevole di tutto questo. Un Papa popolare sì e insieme teologicamente conservatore: pare il mix giusto per questo tempo. Le due cose non si contrappongono, anzi chiariscono ulteriormente il favore entusiastico con cui viene percepito dalla gente il nuovo Pontefice .


L'attenzione di Papa Bergoglio, mi pare, va in questa direzione di attenzione alla pietà popolare, attenzione diversa, seppur complementare, a quella espressa da Benedetto XVI, concentrata sul culto liturgico. Dobbiamo anzitutto premettere che stiamo dando per acquisita la distinzione tra liturgia e pietà popolare. Sono due realtà diverse, nonostante interessino entrambe la preghiera e la vita spirituale. Non vanno confuse, né sovrapposte (cf. Direttorio su Pietà popolare e Liturgia, 13 e 46):
Distinzione e armonia con la Liturgia
13. La differenza oggettiva tra i pii esercizi e le pratiche di devozione rispetto alla Liturgia deve trovare visibilità nell’espressione cultuale. Ciò significa la non commistione delle formule proprie di pii esercizi con le azioni liturgiche; gli atti di pietà e di devozione trovano il loro spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti.

Da una parte, si deve pertanto evitare la sovrapposizione, poiché il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche. Similmente, è da superare, dove è il caso, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche: va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici.
Dall’altra parte, si eviti di apportare modalità di “celebrazione liturgica” ai pii esercizi, che debbono conservare il loro stile, la loro semplicità, il proprio linguaggio.
Un certa commistione è in verità accaduta, di certo in Italia, dove la sparizione di gran parte dell'apparato caro alla devozione del popolo - frettolosamente giudicato retrogado e paganeggiante (cf. Direttorio 1), e per questo da sostituire con un "culto razionalizzato" (ben diverso dalla logiké thysia....)- ha lasciato un vuoto: in tal modo molto devozionismo si è infiltrato nella liturgia, inquinandola di elementi che non le si addicono. La liturgia è il culto pubblico della Chiesa, è l'espressione orante della lex credendi e sua custode, e tale deve rimanere.
La religiosità popolare, che si esprime in forme diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri. (Messaggio a CCD, 21/09/2001)
Perciò esortava «i Vescovi perché, oltre al culto liturgico, siano incrementate e tenute in onore le preghiere e le pratiche di pietà del popolo cristiano, che pienamente rispondano alle norme della Chiesa» (Pastor Bonus 70).

In ogni caso ci si rende conto, oggi, che la devozione del popolo cerca sempre una maniera di manifestarsi: se non trova il suo alveo naturale nelle pratiche della pietà popolare (processioni, rosari, pellegrinaggi, devozioni ai santi e alla Vergine Maria....) essa, come un fiume stretto da argini troppo angusti o cambia corso (ecco lo spostarsi verso il pentecostalismo o la valanga sopran-naturalistica medjugorjana) o tracima in campi che non le sono propri (la liturgia devozionisticizzata e infarcita di canti emotivi o elementi impropri, abbracci, "teniamoci per mano" e quant'altro).
Per riconnettersi con il "popolo", Papa Francesco si è accorto che la liturgia non può diventare campo di battaglia, e deve essere principalmente liberata dagli abusi che la distorcono. Ma insieme va integrata - non mescolata - con altre pratiche di preghiera e di spiritualità autenticamente cattoliche e popolari, che devono essere riproposte e coltivate "accanto" alla vita liturgica, ma ognuna nel suo ambito. L'incontro con le Confraternite del mondo, lo scorso 5 maggio, come sottolinea anche Introvigne, e il messaggio del Papa, vanno in questa direzione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

il problema è che moltissime devozioni popolari hanno la loro origine nella liturgia antica.Rivoluzionata la liturgia, la maggior parte di tali devozioni ha visto recise le proprie radici; improvvisamente queste devozioni sono diventate antiliturgiche. Da qui il furore nell'estirparle. Se certe devozioni avevano degenerato ciò era dovuto spesso all'incuria in cui il clero, dove non le ha estirpate, le ha lasciate. Nella mia parrocchia tuttora si svolgono durante tutto l'anno, moltissime devozioni (novene, tridui, etc.etc.);la partecipazione dei fedeli è scarsa, ma il parroco che anni fa cercò di estirparle, fu costretto a scappare a gambe levate per la rivolta di tutto il paese;paese intero però che poi non frequenta tali devozioni. Pro bono pacis il vescovo ha da allora raccomandato ad ogni parroco di rispettarle; e ogni parroco le sta rispettando, ma è un rispetto oserei dire "burocratico", senza alcuna convinzione. E, soprattutto, senza sfruttare l'enorme potenziale che tali devozioni hanno. Al riguardo il cardinal Siri imponeva con forza ai suoi preti di utilizzare proprio tale potenziale delle devozioni, per instillare nei fedeli gocce di dottrina, per attrarre alla pratica cristiana chi n'è lontano e rafforzare chi già la frequenta. Nella mia parrocchia non si sfrutta tale potenziale....lo si tollera soltanto.

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