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sabato 22 marzo 2008

Intervista a mons. Marini, cerimoniere del Papa

Dal sito di Paolo Rodari vi riporto questo stralcio di intervista a Mons. Guido Marini, in cui espone la "teologia" che sta dietro alle scelte liturgiche che, in modo evidente, stanno caratterizzando in modo nuovo le celebrazioni papali:

"Lex orandi lex credendi Il posto di Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Papa è importante perché, se è vero che lex orandi lex credendi (la Chiesa crede in ciò che prega) allora dirigere le cerimonie papali con rigore e fedeltà alle norme è un aiuto alla fede di tutta la Chiesa. «La Liturgia della Chiesa - spiega Marini -, con le parole, i gesti, i silenzi, i canti e le musiche ci porta a vivere con singolare efficacia questi diversi momenti della storia della salvezza, in modo tale che ne diventiamo davvero partecipi e ci trasformiamo sempre di più in discepoli autentici del Signore, ripercorrendo nella nostra vita le orme di Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza. La celebrazione liturgica, quando è realmente partecipata, induce a questa trasformazione che è storia di santità».E un aiuto in questa «trasformazione» può essere quel «riposizionamento» voluto nelle liturgie papali della croce nel mezzo dell’altare, come un residuo dell’antico «orientamento a Oriente» delle chiese: verso il Sole che sorge, verso Colui che viene. «La posizione della Croce al centro dell’altare - dice Marini - indica la centralità del crocifisso nella celebrazione eucaristica e l’orientamento interiore esatto che tutta l’assemblea è chiamata ad avere durante la liturgia eucaristica: non ci si guarda, ma si guarda a Colui che è nato, morto e risorto per noi, il Salvatore. Dal Signore viene la salvezza, Lui è l’Oriente, il Sole che sorge a cui tutti dobbiamo rivolgere lo sguardo, da cui tutti dobbiamo accogliere il dono della grazia. La questione dell’orientamento liturgico, e il modo anche pratico in cui questo prende forma, ha grande importanza, perché con esso viene veicolato un fondamentale dato insieme teologico e antropologico, ecclesiologico e inerente la spiritualità personale».
Continuità
Un «riposizionamento», quello della croce, che evidenzia come le prassi liturgiche del passato debbano vivere ancora oggi. «La liturgia della Chiesa - dice Marini -, come d’altronde tutta la sua vita, è fatta di continuità: parlerei di sviluppo nella continuità. Ciò significa che la Chiesa procede nel suo cammino storico senza perdere di vista le proprie radici e la propria viva tradizione: questo può esigere, in alcuni casi, anche il recupero di elementi preziosi e importanti che lungo il percorso sono stati smarriti, dimenticati e che il trascorrere del tempo ha reso meno luminosi nel loro significato autentico. Quando questo avviene non si realizza un ritorno al passato, ma un vero e illuminato progresso in ambito liturgico».E in questo progresso non si può non menzionare il Motu proprio Summorum Pontificum: «Considerando con attenzione il Motu proprio, come anche la lettera indirizzata dal Papa ai vescovi di tutto il mondo per presentarlo, risalta un duplice preciso intendimento. Anzitutto, quello di agevolare il conseguimento di “una riconciliazione nel seno della Chiesa”; e in questo senso, come è stato detto, il Motu proprio è un bellissimo atto di amore verso l’unità della Chiesa. In secondo luogo, e questo è un dato da non dimenticare, quello di favorire un reciproco arricchimento tra le due forme del Rito Romano: in modo tale, ad esempio, che nella celebrazione secondo il Messale di Paolo VI (forma ordinaria del Rito Romano) “potrà manifestarsi in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso”».

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