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venerdì 22 novembre 2013

Iniziamo finalmente a mettere in pratica il Concilio per ciò che riguarda la musica sacra: l'appello di James MacMillan

Oggi è Santa Cecilia, patrona della Musica, e della Musica sacra in maniera del tutto particolare.
In questi giorni di preparazione alla sua festa è uscito sul giornale britannico Daily Telegraph un articolo di rara forza, firmato nientemeno che dal maestro James MacMillan, uno dei più grandi compositori cattolici viventi. Fu proprio lui ad essere scelto, fra tutti i musicisti del Regno Unito, per scrivere la Messa per la visita di Papa Benedetto XVI in Inghilterra e Scozia, in occasione della beatificazione del card. John Henry Newman.

Questo rinomato musicista scozzese compone opere sinfoniche e liriche, e la sua fede cattolica l'ha sempre ispirato, anche e soprattutto nel suo lavoro. Credente e praticante, oltre alla sua attività di professionista della musica nei circuiti internazionali, ha sempre curato con umiltà il coro della sua parrocchia, per il quale ha scritto tanto. E non solo per il coro, ma anche per i canti assembleari, secondo quello che fino a pochi anni fa era "sentito" come il solo desiderio dei Padri Conciliari riguardo la musica: cioè che tutti potessero cantare tutto. Il mito è crollato da tempo, ma resiste nella pratica parrocchiale. 

James MacMillan - come tanti e tanti prima e insieme a lui - non lesina accorate denunce alla sciatteria e al pressapochismo musicale in cui si è inabissata mediamente la musica liturgica cattolica. I soli canti assembleari non possono essere l'unica o la preponderante forma di musica per la liturgia. La gente fatica a cantare, non è preparata, e, prima di tutto, non può tenere a memoria tutto, ha bisogno di libretti, sussidi ecc., con il risultato che comunque, anche per le difficoltà tecniche di molti brani, ci si riduce ad un repertorio ristretto di "soliti" canti, utilizzati tutto l'anno liturgico. "Tanto perché bisogna cantare qualcosa".
Come il Card. Bartolucci, anche MacMillan ricorda che il Concilio non voleva che si cantasse "a Messa", questo lo si faceva anche prima del Concilio (il canto popolare in Chiesa non è nato nel 1965, come alcuni fanno finta di credere). I Padri volevano che si tornasse, come in antico, a "cantare LA Messa", cioè i testi propri della celebrazione. Prova ne sia lo sforzo profuso dopo il Concilio nel riorganizzare interamente il Graduale Romanum sulla scorta dell'Ordo Cantus Missae. Libri dimenticati dai litugisti-musicisti-traduttori, che anche in Italia hanno promosso "repertori nazionali" di canti (spesso pieni di composizioni degli stessi curatori....) a scapito della grande tradizione musicale anche parrocchiale (le corali con il loro dignitoso patrimonio) lasciate morire piano piano a vantaggio dei "ragazzi con la chitarra". 

Ma MacMillan non si limita alla lamentela. Non ci sarebbe nulla di nuovo. Egli invece ha una ricetta e un gesto simbolico. Ha promesso di non scrivere più nessuna composizione di canto assembleare. Ce ne sono già troppi di inni e cantici per l'assemblea, e questo - egli sostiene - ha ucciso il canto del Proprio della Messa.
Contestualmente indica la via da seguire per rinnovare in maniera semplice ma efficace la musica liturgica secondo il volere autentico del Concilio Vaticano II. Tornare alle forme della tradizione cattolica. Ciò significa sì guardare al gregoriano, ma con l'occhio rivolto al presente e al futuro. 
Imparando dalle soluzioni non applicate del Graduale Simplex e di altri pionieri, soprattutto americani, del ritorno al canto semplice, antifonale, proprio della liturgia romana più antica e più autentica.
Il testo deve prevalere sulle forme musicali, e queste devono essere semplici e adatte al popolo: antifone ripetute in maniera responsoriale, non lunghi inni o canti complicati. Alla Schola, che deve essere curata, deve tornare la ministerialità liturgica dei canti più complessi, quelli da ascoltare, secondo le melodie gregoriane più fiorite o la polifonia che penetra nell'anima di chi, in modo meditativo sa partecipare in maniera attiva "con le orecchie", e non solo con la bocca.

Anche sulla questione della lingua MacMillan è molto pratico, eppure fedele: le melodie sillabiche gregoriane sono nate per potersi adattare a testi differenti, e non solo nella lingua latina. Un esempio della "soluzione semplice" che propugna è il Graudale Parvum, elaborato dal sacerdote oratoriano Guy Nicholls. Si tratta di una semplificazione ulteriore del Simplex, che si può cantare sia in inglese che in latino: musica semplice, cantabile e funzionale alla liturgia. A proposito: se qualcuno con le necessarie competenze ne facesse un adattamento anche in italiano, sarebbe da considerare benemerito della più autentica riforma liturgica!
Potete scaricare questo splendido libro di musica liturgica semplicissima a questo link.
James MacMillan scende dunque in campo a favore dell'adattamento del grande patrimonio di melodie modali trasmessoci dalla tradizione. Non si tratta di tradurre i canti gregoriani, ma, fedeli alla tradizione di prendere esempio dal modo antico di comporre e adattare i testi e rilanciare questo modo, che tanto bene si adatta alle assemblee liturgiche, permettendo loro di pregare cantando. Non riempiendosi la bocca di canzoncine senza alcun valore dottrinale o riferimenti biblici e fornite di melodie scadenti e ritmi da balera, ma cantando i testi propri della Messa, anche nelle lingue moderne, ma secondo le formule musicali tramandateci dai secoli passati e mai - fino a poco tempo fa - cadute completamente in disuso.

2 commenti:

Censorina ha detto...

Ho fatto parte per molti anni di una Cantoria Parrocchiale. Ci dirigeva il parroco. Conoscevamo messe in latino di Perosi e altre. Quando questi lasciò per motivi di età ne arrivò un altro che abolì i nostri canti in latino e desiderava che si cantassero quelli in Italiano di un libretto liturgico che si trova in tutte le parrocchie perchè sosteneva che tutti dovevano cantare e il nostro canto doveva essere soltanto di accompagnamento all'assemblea.
Non so chi avesse ragione. A me qualche volta viene nostalgia del bel canto latino che avvicinava a Dio. Grazie per il post.
Paola

Franceschiello ha detto...

Fermo restando che il Latino è e deve rimanere lingua ufficiale della Chiesa e della liturgia latina, trovo davvero ottima cosa adattare il gregoriano alle lingue vernacolari.
E se ci sono riusciti gli inglesi con la loro lingua barbara, allora sicuramente dobbiamo riuscirci anche noi italiani, con la nostra lingua che è figlia primogenita della lingua latina.

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