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lunedì 21 ottobre 2013

"Padre, mi benedice il tatuaggio della croce qui sul braccio?" Nuova cultura e linguaggi per l'evangelizzazione nei nuovi media

Monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali ha offerto la relazione centrale alla Catholic New Media Conference di Boston lo scorso sabato 19 ottobre, conferenza organizzata dalla Diocesi in collaborazione con SQPN di padre Roderick (uno dei guru della comunicazione cattolica con i nuovi media). Dalla sua nomina da parte di Papa Benedetto nel 2007, Monsignor Tighe è stato coinvolto in tutte le importanti iniziative vaticane attorno ai nuovi media e al loro rapporto con la nuova evangelizzazione.

La relazione del monsignore irlandese - che trovate in inglese nel video e in un sommario mio riassunto in italiano - è veramente illuminante: prima di tutto perché Tighe sa di cosa parla, non fa solo teoria, ma teoria tratta dalla pratica della comunicazione vissuta. In secondo luogo perché mostra cosa sta avvenendo a livello ecclesiale - specialmente Vaticano - con l'arrivo e l'uso dei new media; soprattutto come questi hanno contribuito a far capire cosa vuol dire entrare in una nuova cultura e adattarsi a nuovi linguaggi, da apprendere e usare per relazionarsi con coloro ai quali si vuole offrire il Vangelo. Speriamo sia ascoltato da tanti vescovi e superiori religiosi dai quali questo tipo di sguardo sulla nuova evangelizzazione è completamente estraneo!

A proposito: il titolo accattivante del post richiama una battuta di mons. Tighe nel rispondere alle domande poste dal pubblico, a proposito dei giovani e dei nuovi modi di esprimere la religiosità.



Mons. Paul Tighe esordisce dicendo che quando sui giornali si parla di Chiesa si tende a focalizzare il discorso sul centro e sulle iniziative centralizzate. Ma la Chiesa è contemporaneamente ciò che accade a Roma e ciò che accade nelle comunità locali, in relazione. Il locale, anche la periferia, è essenziale a ciò che la Chiesa è. Inoltre il monsignore ricorda che il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali, con i viaggi dei suoi membri e il confronto con le realtà locali, impara, e impara molto da chi è più avanti nel campo delle comunicazioni e nell'uso dei mezzi digitali; impara da chi sperimenta e magari già impiega alcuni sistemi. Questo perché il Vaticano, se deve iniziare ad impiegare qualche media o una tecnologia particolare per comunicare, deve prima essere abbastanza sicuro che "non esploda da un momento all'altro", cioè che abbia un certo livello di sicurezza testato e problemi - se ci sono - conosciuti e che si sappia come affrontare.
Il relatore passa ai temi della sua esposizione: parlerà principalmente 1) di ciò che è stato fatto dal Vaticano nel campo dei new media, 2) di ciò che si è imparato nel porre in atto queste esperienze, 3) per poi arrivare alla teoria.
Il primo tema è come si è iniziato a far usare Twitter al Papa, all'epoca Papa Benedetto. Certo in 140 caratteri non ci stanno complessi insegnamenti teologici, ma Gesù, in tante frasi evangeliche, dice cose grandi in pochi caratteri. Eppure la cosa ancor più importante dei messaggi è la presenza del Papa in quell'ambiente, nell'ambiente di Twitter.

L'uso di Twitter da parte del Papa è, infatti, soprattutto simbolico. Significa essere presenti in quel luogo virtuale, nell'arena dei social network. Inoltre questa presenza esorta anche altri a vedere il positivo dei new media, specialmente i vescovi (questo internet non è un giocattolo, c'è anche il Papa e lo usa....), ed è di esempio a muoversi in questo campo, di incoraggiamento a chi è un po' lento ad arrivarvi... Gli iscritti alle varie lingue in cui @pontifex twitta stanno ormai giungendo a 10 milioni. Una cifra davvero ragguardevole, anche per chi dice che sempre che i numeri non sono l'essenziale...
Il canale Twitter in Latino è poi un caso piuttosto interessante. Il dipartimento vaticano che si occupa della lingua latina è ben contento di poter offrire traduzioni concise e pregnanti, come solo il latino - così adatto alla sintesi - sa offrire, trovando anche i vocaboli giusti per rendere concetti moderni. Attualmente l'account in latino ha più di 170 mila followers, in centinaia di nazioni diverse. Molti dei followers non sono cattolici e nemmeno credenti, ma studenti o docenti di latino: vengono in contatto con il pensiero e i messaggi del Papa (con il quale non avrebbero motivo di tenersi in rapporto) a partire dal loro interesse per la lingua latina!

Mons Paul parla poi dell'iniziale, incontestabile ed enorme risposta negativa ai tweet del Papa. Era evidente l'attacco massiccio di chi voleva costringere a chiudere l'account twitter, bombardandolo di insulti. Ma chi non vuole la voce del Papa nei social media, non vuole la voce del Papa anche in altri contesti, per questo bisogna essere consapevoli della "piazza del mercato" in cui si sta e non spaventarsi. Eppure anche dalle tante risposte negative si poteva capire e imparare qualcosa. Per es.: che cosa e chi era irritato dalla presenza del Papa, come mai qualcuno era frustrato o colpito negativamente o reso sordo al messaggio della Chiesa... Non si può però omettere anche la parte positiva, i tanti commentatori, cattolici o meno, che hanno espresso il loro apprezzamento per l'iniziativa appena lanciata, per farla fiorire nonostante gli attacchi. E tutti questi vanno ringraziati, perché aiutano a tenere positivo l'ambiente altrimenti solo intossicato dalle risposte negative.

Ovviamente una delle debolezze di @pontifex è la mancanza di interattività. Il Papa non segue altri che se stesso e non risponde. Certo questo è un problema, ma c'è l'opportunità per i followers di costruire una rete capillare di interattività "dal basso", a partire dalla piattaforma di @pontifex, attraverso il loro apporto, soprattutto con il re-twitting (cioè il rilanciare i messaggi del papa dai propri account). Il livello di re-tweets dell'account pontificio è davvero tra i più alti in termini di rapporto al numero di utenti. Così quelli che ricevono i retweets sono molti di più dei seguaci del Papa. E' come ridisseminare il buon seme, facendolo giungere anche a chi non lo riceve direttamente, ma mediante amici che invece seguono il Papa.
Gli hashtag si sa sono importanti. Nell'esperienza del Twitter papale si sono rivelati molto utili non solo e non tanto per la GMG di Rio (cosa forse ovvia vista l'età dei partecipanti e la loro attitudine alle tecnologie), ma ancora di più per l'evento della mobilitazione per la preghiera per la Pace in Siria. Papa Francesco teneva moltissimo a far conoscere questa iniziativa di preghiera, non c'era tempo per far sapere a tutti i cattolici attraverso i foglietti parrocchiali o altri media tradizionali la notizia e i momenti di preghiera. Con Twitter e i social media la cosa è stata possibile: facendola circolare con gli hashtag in maniera velocissima ed efficace.

Un altro lato del problema con le risposte negative in Twitter è stata la reazione di quanti non usando affatto i social media hanno letto sui giornali o hanno sentito in TV degli insulti o dei messaggi negativi contro il Papa. Non sapendo come funziona Twitter, e magari non avendone mai sentito parlare, si sono ovviamente allarmati anche perché esposti al racconto dei media laici (che effettivamente sguazzavano nell'apparente inizio difficile del Twitter papale....). Anche per questo motivo è stata creata la sinergia informativa del Vaticano, per portare su un'unica pagina, in cinque lingue, le notizie dalle diverse fonti vaticane direttamente al fruitore, senza obbligare quest'ultimo a cercarle sui diversi siti: su quello della RadioVaticana, sul sito ufficiale vatican.va, sull'Osservatore Romano e così via, ma mettendole a disposizione tutte insieme aggregate in un unico luogo, e rendendo semplice il contatto e la condivisione con tutti i social media a partire da questo nuovo sito informativo unico. Si tratta di: news.va.
Da cosa nasce cosa, e da news.va nasce anche quella che viene chiamata la "Pope-app", ovvero "il Papa in tasca". Con questa applicazione, attraverso tablet o cellulari si possono leggere le informazioni, ma anche vedere i filmati e pure seguire in diretta video gli eventi o le liturgie presiedute dal Papa.
L'esperimento di news.va in Facebook pare abbia dato dei risultati, sebbene imprevisti: in Facebook è poco l'interesse per le notizie lì condivise, ma è invece enorme l'interesse per tutto quello che concerne la spiritualità (il riferimento di mons. Paul pare vada in particolare alle omelie mattutine della messa del Papa).
Un'altra entusiasmante scoperta su Facebook: il primo video-messaggio pronunciato l'altro giorno dal Papa in inglese (per la prima volta) in occasione della conferenza nelle Filippine, è stato postato anche su Facebook: risultato 250.000 "condividi" nelle prime 3 ore e mezza (Nota del blogger-traduttore: qui si vede che è essenziale oggi per un Papa parlare in altre lingue, soprattutto in inglese, se vuole essere ascoltato. Alla gente non piace l'interprete, vuole che il Papa si rivolga direttamente, in una lingua compresa. Questo è uno degli effetti collaterali dell'esposizione mediatica del Pontefice, ma non si può fare a meno di notarlo: il Papa non può limitarsi a parlare solo in italiano, pena una considerevole perdita di rilevanza per la gran parte dei cattolici che parla o almeno capisce l'inglese.).

Mons. Paul, si dice di certo stupito, ma ancor più sfidato a fare meglio in questo campo, anche attraverso i "micrositi" che mostrano l'interesse crescente per gli eventi a cui il Papa partecipa e per i suoi pensieri spirituali nelle omelie.
Il reltore, parlando in termini di trasformazione (piuttosto che di rivoluzione) nel campo della comunicazione e dei new media, fa quindi presente come questa trasformazione si attua più a livello culturale che a livello di tecnologia:  i giovani e giovanissimi si formano, studiano, cercano informazione in modi molto diversi rispetto alle generazioni precedenti, creano relazioni in maniera diversa. Nessuno sa dove questo porterà. Anche perché questo sviluppo e il suo indirizzo è spesso guidato dal modo in cui gli utilizzatori decidono di muoversi, non è possibile pronosticare o preordinare tutto. Oggi c'è Facebook, domani chissà, anche per Twitter può essere lo stesso (e quante piattaforme sono venute e andate...). La realtà dei social media è in continua evoluzione e continuamente cambia: non solo cambia se stessa, ma cambia noi, il nostro modo di fare comunità, di costruire relazioni, di essere chiesa in termine di manifestazione della chiesa nel mondo.
Per questo c'è bisogno, come diceva Benedetto XVI, anche di una riflessione teologica in tutto questo. Bisogna riflettere su come essere presenti e come essere presenti in modo efficace nel continente digitale: come per le missioni di un tempo, in continenti sconosciuti, tutto inizia anche oggi con l'apprendere la lingua e la cultura del luogo a cui si desidera portare il Vangelo. Questo vale dunque anche per la cultura e i linguaggi del nuovo continente digitale da evangelizzare e in cui inculturare il messaggio evangelico. Dobbiamo chiederci cosa poter imparare, che cosa di questa cultura non solo è compatibile col cristianesimo ma è già ben adatto ad esso, e anche cosa bisogna invece modificare. Come dice Papa Francesco bisogna essere "cittadini" in questa arena, non ritirarsi ai margini, ma abitarla e contribuire con la fede a plasmare l'ambiente. Molta gente sta passando considerevole parte del proprio tempo nei social media e vi investe la propria vita; se la Chiesa non fosse anche lì, mancherebbe di incontrare queste persone.
Le persone delle generazioni più vecchie si stupiscono, fanno "wow!", quando sentono che il Papa è in internet e Twitter. I più giovani reagiscono diversamente; chiedono "e cosa sta dicendo?", per loro sembra normale la presenza, non li stupisce il fatto che il Papa sia lì, ma si chiedono cosa ci stia a fare, i giovani vanno alla relazione.
L'arena digitale, ricorda Mons. Paul, non ci consente di fare ciò che abbiamo sempre fatto: prendere il giornale di carta e metterlo online su un sito web: non funziona così, non è abbastanza. Devo ripensare quello che faccio, utilizzare il dialetto, il gergo della rete. Bisogna imparare il nuovo linguaggio: ciò non significa imparare nuove parole, ma come sviluppare la comunicazione e il dialogo. Le generazioni più vecchie sono abituate alla comunicazione unidirezionale (soprattutto da parte dei preti: sono loro ad avere il microfono in chiesa. Il prete parla, la gente ascolta). Questo è anche il sistema di comunicare della TV. I nuovi media sono diversi: puoi interagire, commentare, dissentire... Si attua una comunicazione partecipativa, che richiede di prendere sul serio le domande e i commenti che arrivano a seguito delle proposte. E' una conversazione che si sviluppa, solitamente in pubblico. Anche le questioni di fede non sono dibattute in privato come un tempo, ma sotto gli occhi di altri che leggono i commenti (chi frequenta i blog lo sa bene...). Tre parole sono essenziali: Ascoltare, conversare, incoraggiare. Per questi tre motivi-azioni stiamo nell'arena dei new media come chiesa.
Come Chiesa siamo sempre stati molto bravi con il testo scritto. Siamo ancora molto bravi con i testi, e come teologi, siamo capaci e ben attrezzati ad analizzare testi scritti. Ora invece vanno parole, immagini e suoni: siamo tornati, in certo modo, al pre-letterario. Ma anche con questo linguaggio eravamo bravi come chiesa, soprattutto nel campo della musica, della pittura, in generale dell'arte, che dà piacere e tocca il cuore.
Un'altra questione di linguaggio sollevata da Tighe è quella del vocabolario: grazia, salvezza, evangelizzazione, riconciliazione, ecc. tutte parole tradizionali, portatrici di grandi significati, che però non si possono più dare per scontate, non si può presumere siano capite solo perché tradotte nella lingua parlata dagli ascoltatori. Non sono parole "entry level" e in realtà non vengono più collegate con significati compresi. Persino parlare di "Vaticano II" per i giovani non ha molto senso, insiste mons. Tighe, non capiscono la sigla, possono pensare che sia qualcosa come la targa della seconda automobile del Papa! Ma non dobbiamo per questo perdere il linguaggio della teologia e della liturgia, sebbene comprendiamo che non sia linguaggio "di base", per tutti, e ci rendiamo conto che per il primo approccio è necessario un altro linguaggio.

Nel cammino dei new media noi cristiani siamo pellegrini con il resto delle persone. Papa Francesco suggeriva di non correre né troppo avanti, né rimanere eccessivamente indietro, ma voler camminare insieme, nel mezzo, in compagnia. Accompagniamo gli altri ad incontrare Cristo, con pazienza, con attenzione, con genuinità che possa essere percepita e accolta dagli interlocutori, assumendoci la responsabilità della relazione, entrando nella cultura dell'interlocutore e nel suo linguaggio, parlando di fede in maniera sincera e con verità.
Con una battuta, poi, mons. Paul ricorda ai convenuti che già dire "nuovi media" (new media) rivela l'età di chi sta parlando. Per la maggior parte delle persone che li usa, e sono giovani, questi sono semplicemente i "media", mezzi di comunicazione. Il panorama dei social media oggi si basa fondamentalmente su concetti di peer to peer (scambio alla pari), gratuità, apertura. In questo panorama, dunque, pare non ci sia autorità, e invece, spiega il segretario del PCCS, la celebrità ha sostituito l'autorità, ovvero la celebrità è una forma di autorevolezza. Papa Francesco ne è un esempio: è una celebrità oltre che un'autorità. Per questo c'è chi lo ascolta in quanto celebrità, perché egli cattura l'immaginario pubblico, non perché sia il vescovo di Roma. In questo ambiente e cultura plasmati dai media, l'autorità (in senso di autorevolezza) è da guadagnare, non da reclamare o pretendere per la propria posizione.
Nel flusso di discorsi di internet il compito dei comunicatori cristiani è di cercare di dare un'anima alla rete, nel senso di provocare i partecipanti alla conversazione ad interrogarsi, ad approfondire, a cercare la vera sapienza, nel senso di una umanità integrale. Non siamo noi l'anima di internet, ma possiamo contribuire ad aprire uno spazio di spiritualità in questo ambiente, perché ogni essere umano è portatore di domande profonde, a noi il compito di fornire il luogo, la cornice per affrontarle in maniera sensata, mostrando ciò che avviene nelle nostre chiese, non solo raccontandogli una storia su di essa. La visione della Chiesa nella mente di molte persone è negativa, per via di ciò che hanno sentito o gli è stato riportato, non per esperienza personale: per questo è essenziale mostrare la vita della Chiesa, soprattutto la vita della chiesa a livello locale, dove ci si prende cura delle persone, si sostengono e rafforzano le persone con generosità. Allora si potrà dire: unisciti a noi, aiutaci, costruisci con noi la comunità.

Il fatto che oltre a cercare relazioni e informazioni per sé stessi, nei social media si incontri tanta voglia di condividere, persone che donano ciò che fanno o scrivono, ci dice che la natura umana non è cambiata e questo ne è un segno peculiare.
D'altra parte il seguire (o l'essere seguiti) su Twitter è di solito un esercizio di rafforzamento di ciò che già penso e credo: a tutti piace un bel bagno nelle proprie idee e pregiudizi! Questo è certo un limite: quando parliamo di amico, di amico vero, intendiamo quello che a volte non è d'accordo con me e me lo dice.
Il desiderio di condividere l'incontro con Cristo, l'arricchimento che questo incontro ha dato a noi, ci deve motivare nell'uso dei media, non per fare un proselito in più, per cercare il successo nei numeri... Dare ragione della speranza che è in me e portare altri all'incontro personale con Cristo: un mistero che accade, non qualcosa che si può costruire con idee da ingegnere.
Questo non significa, comunque, che il lavoro dei comunicatori non sia importante o non debba essere professionale. Anzi dobbiamo fare bene, migliorare la qualità della nostra comunicazione, ma sapendo che poi il successo dell'evangelizzazione dipende da Cristo e dalla sua grazia, a cui noi però vogliamo dare la migliore testimonianza possibile.
Anche gli errori aiutano certo a migliorare, e così il condividere successi come pure gli insuccessi, che possono ispirare e aiutare altri. Abbiamo bisogno di molta collaborazione sia tra persone in paesi diversi, sia ai vari livelli della chiesa, locale e universale.
Nel messaggio per i 30 anni del Centro Televisivo Vaticano Papa Francesco ha ricordato che c'è bisogno di "convergenza" non di "competizione" come strategia per le iniziative della Chiesa nei media ("Convergere anziché concorrere è la strategia delle iniziative mediali nel mondo cattolico"). Vuol dire che non dobbiamo parlare del "mio" sito, il "mio" spettacolo, i "miei" followers, ma facciamo convergere, portiamo insieme e lavoriamo insieme come Chiesa.
Certo c'è anche qui un rischio, ma un rischio che va corso: quello di dare fiducia soprattutto ai giovani, senza troppa paura degli errori. Come tutti sanno, quando si impara una lingua straniera si fanno all'inizio errori tremendi, ma se non fai errori non imparerai mai! Non esiste la strategia unica, definitiva e perfetta e centralizzata, che solo aspetta di essere implementata. Come la Chiesa, anche la sua comunicazione non è così centralizzata come alcuni credono. C'è bisogno di provare e sperimentare le varie piattaforme di social media; vedere cosa possono dare e come possono adattarsi: provarle tutte - dice con ironia mons. Paul - ma non sposare nessuna di queste, rimanere flessibili, pronti al cambiamento. C'è da evitare "l'imperativo tecnologico" e tenere sempre presente che si tratta di comunicazione umana, cuore a cuore, prima di tutto, non principalmente di tecnologia.

Disclaimer: il testo qui sopra è una traduzione sommaria, e con qualche interpolazione e spiegazione, ma sostanzialmente fedele alla conferenza che avete integrale nel video. 

1 commento:

Ubi ha detto...

Un card Müller puntuto su "Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti "

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#2

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