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giovedì 17 aprile 2014

Le sette parole di Gesù in Croce 5 - commenti di Giovanni Paolo II - Ho sete

La parola di Gesù in Croce di cui oggi rileggiamo il commento di Papa Giovanni Paolo II è ben rappresentata dal crocifisso della Beata madre Teresa di Calcutta, che meditava questa richiesta di Cristo ogni volta che guardava alla croce:

Quinta parola:

"Ho sete!" (Gv 19,28)

Giovanni Paolo II,  Mercoledì 30 novembre 1988

7. Tuttavia poco dopo [aver pronunciato Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?], forse per influsso del salmo 22 (21), che riaffiora nella sua memoria, Gesù esce in queste altre parole: “Ho sete” (Gv 19, 28).

È ben comprensibile che con queste parole Gesù alluda alla sete fisica, al grande tormento che fa parte della pena della crocifissione, come spiegano gli studiosi di queste materie.
Si può anche aggiungere che nel manifestare la sua sete Gesù ha dato prova di umiltà, esprimendo una elementare necessità fisica, come avrebbe fatto chiunque. Anche in questo Gesù si fa e si mostra solidale con tutti coloro che, viventi o morenti, sani o malati, piccoli o grandi, hanno bisogno e chiedono almeno un po’ d’acqua . . . (cf. Mt 10, 42). Per noi è bello pensare che ogni soccorso prestato a un morente, è prestato a Gesù crocifisso!

8. Ma non possiamo ignorare l’annotazione dell’evangelista, il quale scrive che Gesù uscì in tale espressione - “Ho sete” - “per adempiere la Scrittura” (Gv 19, 28). Anche in tali parole di Gesù vi è un’altra dimensione, oltre quella fisico-psicologica. Il riferimento è ancora al salmo 22 (21): “È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto” (Sal 22 [21], 16). Anche nel salmo 69 (68), 22 si legge: “Quando avevo sete mi hanno dato aceto”.
Nelle parole del salmista si tratta ancora di sete fisica, ma sulle labbra di Gesù essa rientra nella prospettiva messianica della sofferenza della croce. Nella sua sete il Cristo morente cerca ben altra bevanda che l’acqua o l’aceto: come quando al pozzo di Sicar aveva chiesto alla samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4, 7). La sete fisica, allora, era stato simbolo e tramite di un’altra sete: quella della conversione di quella donna. Ora, sulla croce, Gesù ha sete di un’umanità nuova, quale dovrà sorgere dal suo sacrificio, in adempimento delle Scritture. Per questo l’evangelista lega il “grido della sete” di Gesù alle Scritture. La sete della croce, sulla bocca del Cristo morente, è l’ultima espressione di quel desiderio del battesimo da ricevere e del fuoco da accendere sulla terra, che era stato da lui manifestato in vita. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12, 49-50). Ora quel desiderio sta per compiersi, e con quelle sue parole Gesù conferma l’ardente amore con cui ha voluto ricevere quel supremo “battesimo” per aprire a noi tutti la fonte dell’acqua che veramente disseta e salva (cf. Gv 4, 13-14).

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